Gli anni passavano e le Incompiute restavano tali.
Però, mentre Manuela aveva trovato realizzazione e stabilità nel suo lavoro di ostetrica, Simona continuava a cambiare attività ciclicamente: segretaria, commessa, rappresentante di cosmetici, venditrice di enciclopedie… Niente di durevole, purtroppo, come del resto non duravano le sue relazioni sentimentali, brevi, frustranti, non di rado con uomini già impegnati. A trentadue anni ancora viveva con la madre, infermiera, che si disperava per questa figlia tanto bella e gentile quanto inconcludente e sfortunata.
“Ma poi – diceva ogni volta che mi capitava di incontrarla – Simona sa solo perdere tempo. Non fa altro che occuparsi della zia Gemma, quella vecchia gattara rimbambita. D’accordo, era la sorella di sua nonna e l’unica parente rimasta da parte del mio povero marito, ma tutta questa dedizione proprio non la comprendo. Le fa la spesa, la porta dal dottore e, quando necessario, le fa perfino le pulizie. Ma io dico: se voleva occuparsi dei vecchi e dei malati, poteva diventare infermiera come me, almeno avrebbe avuto un posto di lavoro…”.
E così via. Ma Simona continuava imperterrita nella cura affettuosa della anziana congiunta.
Le condizioni di Gemma, già precarie, precipitarono nel novembre del ’93 a seguito di una polmonite che la portò via in pochi giorni alla non verde età di novantacinque anni.
Simona era distrutta. Non faceva che piangere. Manuela ed io cercavamo di consolarla, anche se quel lutto profondo ci sembrava eccessivo. Una prozia vecchissima che noi tutte, negli ultimi anni, consideravamo un po’ suonata, anche perché l’avanzare dell’età e la sua mania per i gatti avevano reso la piccola casa in cui viveva un luogo decisamente anomalo che solo le attenzioni di Simona riuscivano a rendere vivibile.
Era stata impiegata alle poste fino all’età di sessant’anni, non si era mai sposata ed i suoi unici veri affetti erano stati Simona e suo padre, il povero Simone, scomparso ormai da molti anni.
Viveva in un appartamentino buio, al pianterreno di un grande palazzo popolare, il cui arredamento risaliva agli anni ’50.
I vestiti erano tutti uguali, grigi e lisi. Spesso la mia amica aveva tentato di convincerla a comprarsi qualche capo migliore, ma lei rispondeva dolcemente: “Ma per andare dove, mia piccola Simo? Per l’ultimo viaggio basta e avanza quello che ho”.
Ma tanta fu la sorpresa quando, alcuni giorni dopo la dipartita della amata prozia, Simona venne convocata dal più quotato notaio della nostra città per la lettura del testamento. “Ma cosa può mai avermi lasciato la zia Gemma? La casa e i gatti, forse, e magari qualche debituccio, dato che mezza pensione se la giocava al lotto. Accompagnami, Giulietta, dai, così poi ti offro un caffè con i proventi della mia eredità!”.
Era infatti cosa nota che l’anziana signora fosse solita giocare al lotto da moltissimi anni e tutti ritenevano che questa fosse una innocua piccola mania di una pensionata con tanto tempo a disposizione.
Traeva numeri da tutto: i sogni, le date di nascita, le morti improvvise e gli eventi catastrofici. Ma era un vero fenomeno nel dedurre numeri dal Festival di Sanremo.
Raccontava spesso di aver giocato, durante il primo festival dei fiori, un terno vincente di cui un numero era il 51, anno in corso, ma degli altri non aveva mai voluto far parola. Sosteneva che parlare dei numeri li avrebbe messi di malumore e quindi meno disponibili a collaborare con la fedele giocatrice.
Fino alla fine dei suoi giorni, non aveva mai mancato di giocare tramite la fedele nipote che provvedeva a tramutare in schedine i numeri della zia. Un numero di estrazioni impressionante, data la ragguardevole età della donna.
Mentre salivamo le scale dello studio notarile, Simona continuava a sorridere e scuotere il capo, pensando alla bizzarra decisione della zia di lasciare un testamento.
Ma la sua espressione ironica e disincantata mutò rapidamente quando il notaio le rivelò che la zia possedeva una decina di appartamenti oltre a depositi bancari, investimenti in azioni e gioielli di valore, custoditi in una cassetta di sicurezza. Una piccola fortuna che avrebbe completamente cambiato la vita della mia amica. Nel testamento, Gemma spiegava come avesse acquisito quei beni nel corso degli anni, attraverso una storia di quaterne e cinquine che le avevano fruttato un vero patrimonio. Dava anche indicazioni sui periodi in cui si erano verificate le vincite più cospicue.
Raccontava del grande affetto per i suoi suoi genitori, venuti a mancare negli anni sessanta, e di come, in sogno, le avessero rivelato più di una quaterna. E poi i numerosi Sanremo in cui, diceva, aggiungendo all’anno in corso altri numeri legati ai cantanti in gara, non aveva mai mancato di realizzare almeno un terno secco, ma talvolta anche cinquine.
Aggiungeva inoltre che tra il ’60 e il ’75 era avvenuto il maggior numero di vincite significative e che il periodo era stato assai favorevole per investimenti di ogni tipo.
“Ti chiederai, cara dolce Simona, come mai non ti abbia mai parlato di tutto ciò ed anche perché abbia vissuto come una povera pensionata, anziché godermi tutti i beni che la sorte aveva voluto elargirmi.
La risposta alla prima domanda è semplice: non volevo che le tue cure fossero inquinate da un qualsiasi pensiero legato al denaro.
Sapevo che mi assistevi con amore e così doveva essere. Per il secondo quesito, ti dico semplicemente che mi è piaciuto vivere così. Vincere e investire proficuamente erano un premio in sé, a me non è mai interessato il lusso, ma l’emozione. E l’emozione me l’hanno data i numeri che fedeli negli anni mi hanno amato, così come una più dolce emozione l’ho avuta da te, sempre presente e paziente e gentile. Così ora ti lascio tutto. Fanne buon uso e rispetta ciò che il destino ti ha fatto avere attraverso di me. Sarò sempre con te. La zia Gemma”.
A questo punto Simona si era sciolta in lacrime, singhiozzava proprio, e, mentre io la sorreggevo, il notaio si affannava a dirle che non c’era motivo di piangere. “Su, su, signorina. Pensi che bella sorpresa le ha fatto sua zia. Ora la sua vita può cambiare…”
E così fu. Una volta fatto l’inventario dei beni ereditati, Simona si rese conto che non avrebbe avuto mai più bisogno di lavorare o almeno non avrebbe più dovuto fare la segretaria né la venditrice porta a porta, questo era sicuro.
Le suggerii di aprire una attività, anche per scandire meglio le sue giornate e lei cominciò a riflettere su una possibilità del genere.
Fu proprio la mattina di Natale che, dopo avermi fatto gli auguri, mi comunicò con una delle sue telefonate chilometriche quale era la sua decisione. Avrebbe aperto, anzi rilevato, un negozio di lingerie in centro. La cosa non mi sorprese. Simona aveva sempre avuto un’idea fissa, oltre a quella di trovare un fidanzato: biancheria raffinata e coordinata, sempre tutto abbinato, diceva.
Non perché pensasse necessariamente ad incontri galanti (oddio, poteva capitare e in tal caso era meglio essere preparate), ma soprattutto per la teoria della figuraccia da Pronto Soccorso. “Vedi, Giulietta, se mi dovessi svenire o comunque sentire male e mi portassero al Pronto Soccorso, ebbene, non potrei sopportare che i medici e gli infermieri mi vedessero magari con un paio di slip bianchi e il reggiseno a fiori. Sarebbe tremendo”.
“Ma che ti importa. A parte che non so perché devi pensare a queste cose, ma poi ti immagini cosa interessa ai sanitari del tuo look intimo!”.
“Lo dici tu. Sarebbe veramente disdicevole”.
Io scuotevo il capo, ma lei era sempre rimasta convinta di questa profonda verità: slip e reggiseno abbinati e non stonava neppure una sottoveste.
La sua scelta imprenditoriale, quindi, mi apparve del tutto coerente e adeguata alla mentalità della mia amica.
La sua incompiutezza rimaneva, ma almeno il mondo l’avrebbe valutata con altri occhi, avrebbe visto in lei quella spinta creativa soffocata da anni di agende in cui scrivere appuntamenti e indirizzi. Ora il capo era lei e la questione cambiava. Avrebbe inaugurato il negozio per San Valentino, data fondamentale per la neo-imprenditrice che continuava ad essere innamorata dell’amore.
Il nome del negozio, “Amorevole”, fu deciso pensando ad una vecchia canzone di Nicola Arigliano, cantante confidenziale degli anni ’60. “Amorevole, abbandònati, resta ancor vicino a me…”.
E così, tra romanticherie, pizzi e mutandine, prese il via la nuova vita di Simona, incompiuta, sì, ma anche tenera e generosa.
Lingerie, 14 febbraio, San Valentino, innamorati, amore, amorevole, niente di più intonato alla fatalmente incompiuta, ma gentile e dolcissima Simona.