Professoressa Bartalucci è scomparso nei giorni scorsi Cesare Vasoli, professore emerito dell’Università di Firenze. Che ricordo ne ha lei che è stata una sua allieva e laureanda?
Il mio ricordo del professor Vasoli risale a due distinti momenti della mia vita, uno più lontano nel tempo uno più recente. Quello più lontano nel tempo si colloca all’epoca dei miei studi universitari quando, dopo aver seguito per tre anni le sue lezioni, mi laureai con una tesi sul pensiero religioso di Edward Herbert di Cherbury di cui Vasoli fu appunto relatore. Vasoli, già allora grande e profondo studioso del pensiero filosofico del rinascimento e dell’età moderna, non amava atteggiamenti cattedratici o protagonistici, si presentava con un fare garbato e riservato ma anche rassicurante e che rifletteva i caratteri della quotidianità; non era un professore di tante parole ma aveva un modo tutto suo per far capire che il lavoro che avevi fatto, si trattasse di una relazione di seminario, o di una tesina o di un capitolo della tesi, era di suo pieno gradimento. Iniziava a camminare da lontano nell’aula e piano piano, man mano che, ascoltando, il suo interesse cresceva, si avvicinava sempre di più, guardandoti in modo sempre più attento e diretto, quasi a consolidare maggiormente il filo di una partecipazione, anche fisica, più forte a quello che stava sentendo.
E il ricordo più recente?
Risale a poco tempo fa, quando, dopo aver pubblicato il mio primo libro su Lord Herbert, La religione della mente, ne ho inviato appunto una copia a Vasoli in segno di omaggio e come ringraziamento per la formazione filosofica ricevuta presso la facoltà di Filosofia dell’Università Degli Studi di Firenze da lui e dall’altro grande maestro del pensiero filosofico rinascimentale, Eugenio Garin. Nonostante i problemi di salute legati all’età Vasoli non solo ha risposto prontamente e gentilmente per ringraziarmi ma ha apprezzato il fatto che una sua scolara ( è un termine affettuoso da lui utilizzato) dopo tanti anni si fosse rimessa in gioco con tanto entusiasmo facendo quello che peraltro lui mi aveva già suggerito all’epoca della laurea, approfondire e sviluppare le intuizioni della mia tesi. Vasoli mi ha scritto un paio di lettere e un biglietto, tutti con la grande lucidità e la capacità di analisi di sempre, incoraggiandomi costantemente a proseguire nei miei studi e a produrre presto un altro lavoro, come del resto ho fatto, su temi così importanti della cultura filosofica europea del 600.
Qual è il titolo del suo nuovo lavoro?
Il titolo del mio nuovo libro, prossimo ad uscire, è Lord Herbert di Cherbury. Alchimisti Dialoghi e Misteri. Gli oscuri risvolti di A Dialogue between a Tutor and his Pupil
Dal titolo sembrerebbe che abbia voluto approfondire il pensiero di Herbert soprattutto in relazione ai misteri dell’alchimia.
L’alchimia, una delle discipline di quella tradizione di Ermete che ebbe un ruolo così centrale nel connotare la cultura filosofica e soprattutto religiosa del rinascimento e dell’età moderna, tanto studiata da Vasoli, non rappresenta il tema principale ma una sorta di filo conduttore del libro, la cui tesi centrale si focalizza in particolare sull’attribuzione non herbertiana di un’opera, A Dialogue between a Tutor and his Pupil, pubblicata a suo nome ben 120 anni dopo la sua morte e sulla cui paternità è in atto una disputa che dura da più di mezzo secolo. Il mio libro potrebbe veramente rappresentare una svolta significativa in merito, dato che dimostra e certifica inequivocabilmente, sia nelle linee generali che nel dettaglio, la non paternità herbertiana, e indica anche misteri e possibili retroscena di quel manoscritto inglese anonimo del diciassettesimo secolo, attribuito forzatamente e deliberatamente a Herbert.
Il suo secondo volume su Herbert non sarebbe allora un vero e proprio libro di filosofia?
Si tratta di un libro che, se utilizza in primo luogo, facendovi puntuale riferimento, i temi filosofici del primo lavoro, La Religione della Mente, dove ho peraltro già messo in evidenza le contraffazioni dei veri significati delle opere del filosofo inglese avvenute nelle traduzioni dei suoi testi latini, vi abbina il rigore scientifico dell’analisi testuale, filologica e storiografica con l’indagine e anche i colpi di scena simili a quelli del genere poliziesco e del giallo, un’indagine condotta, voglio anticiparlo, tra deisti, libertini, rosacroce, massoni e anche druidi, ma in particolare tra veri e presunti alchimisti.
Potrebbe avere qualche somiglianza con opere come Il nome della Rosa o Il Codice da Vinci?
Oltre a trattarsi,come ho precisato, di un saggio filosofico, i misteri che affronta sono quelli di un’opera non d’invenzione ma reale, il Dialogue, e di veri personaggi, club, sette e reti di circolazione e manipolazione clandestina di testi; dell’attività quindi di quello che nel mio libro ho definito, per usare una terminologia moderna nel suo significato originario, una sorta di social network, che collegava tra loro, anche senza internet e senza i mezzi di comunicazione di oggi, gruppi di liberi pensatori d’Europa nella seconda metà del 1600. Il mio rammarico è che il professor Vasoli, che nel febbraio di quest’anno mi aveva scritto mostrando vivo interesse per questo mio nuovo lavoro, di cui l’avevo informato, non abbia purtroppo fatto in tempo a vederlo ultimato e pubblicato.