Stefano Pacini ha raccolto alcuni dei suoi scatti migliori, realizzati tra gli anni Settanta e i nostri giorni. Stefano fa con le fotografie quello che i poeti in ottava fanno con le parole: conserva la memoria, crea un archivio pubblico di un mondo che purtroppo sta scomparendo. Un mondo di un’umanità che sapeva ancora sognare l’utopia. Dai ventenni fricchettoni degli anni settanta ai contadini della maremma mineraria, quanti si sono trovati di fronte un ciclopico fotografo barbuto, armato di un unico occhio fotografico, che si ergeva di fronte a loro con la grazia di un fattore che viene a controllare la vendemmia? Era Stefano che, reflex in spalla e pennato in cinghia, prelevava con l’obiettivo una marza di realtà per innestarla nel suo archivio personale. Dopo tanti anni di riposo all’ombra, la linfa fotografica torna a scorrere e l’archivio germoglia in questo meraviglioso libro di istantanee. Alcuni si riconosceranno in quelle fotografie, altri si sogneranno in quelle stampe di un bianco e nero esemplare. Col dubbio che quel mondo che non conosciamo, che desideriamo come l’isola che non c’è, non sia altro che il sogno sognato da un fotografo-contadino-demiurgo, reflex in spalla e pennato in cinghia, che costruisce l’utopia fotogramma dopo fotogramma.
Alberto Prunetti
—
“Un libro bellissimo, emozionante, sei la memoria della nostra Maremma, e non solo”
Umberto Lenzi, regista e scrittore
—
Storie maremmane: un sogno lungo quarant’anni
Un libro che ha come valore fondante la fotografia in bianco e nero e gli anni Settanta, il vissuto profondo di una generazione, quella di Stefano, “Paco” per noi suoi coetanei e conterranei. Significativa la sottolineatura del “noi generazionale”: ti sentivi parte di un gruppo solidale, il tuo gruppo, e non si pensava come oggi in prima persona, ma si pensava come “noi”. Non è un libro nostalgico, perché non è un sentimento proprio dell’autore, ma queste 180 pagine ci raccontano di tanti sogni e di tanti viaggi. E la chiave di lettura, come propone il titolo, è proprio il sogno, il coraggio di vivere i propri sogni, anche quando sono difficili, e riuscire a coniugarli con la voglia di conoscere il mondo. Dice Stefano: “ s’andava per il mondo perché si sognava il mondo…e andando per il mondo se ne diventa parte. E il viaggio di questi quarant’anni diventa scoprire il mondo, condividerlo con vecchi e nuovi amici, e questo mondo poi ti resta dentro l’anima per tutta la vita…e poi lo riporti qui…e il viaggio per Itaca può continuare”. Stefano ci ha regalato tante emozioni durante la sua intensa esposizione,tutta a braccio, piena di immagini e sogni che ci ha trasmesso. E un’ultima cosa anche noi eleviamo a simbolo di quegli anni: la foto di Eros e Giorgio, perché come scrive Stefano: ” certe fotografie ormai hanno una vita propria, e non smetteranno mai di vivere ed emozionarci. Fotografando il mondo se ne diventa parte, e mettendo in circolo queste foto si condivide la sua sterminata umanità, unico antidoto contro la paura, l’odio, la guerra.”
Angelo Soldatini, direttore de La Torre Massetana
—
“Non si sogna mai abbastanza. Non si sogna insieme abbastanza. Quella che scambiamo per maturità nostra e del mondo che ci circonda, somiglia sempre più a un campo di macerie, quando non di concentramento. Non è questione di nostalgie adolescenziali. È una realtà che sta prendendo sempre più i connotati di un incubo, lontana anni luce sia dall’ottimismo utopistico di fine anni ’60, sia dal pragmatismo modernista che suggeriva la fine della Storia dopo la caduta del Muro di Berlino. Abbiamo smarrito del tutto, paradossalmente, in questa epoca digitale che della velocità, della comunicazione e dell’immagine fa idoli di massa, ogni radice di noi stessi, della nostra storia, dei nostri sogni. Affoghiamo in un mare di immagini inutili, onanistiche, replicanti di una vita subita e non vissuta. Immagini senza futuro, destinate ad evaporare come acqua nel deserto digitale per la effimera esistenza di pc, hard disk e altri apparati impalpabili. I figli del vento si piegavano sotto le bufere come gli alberi, adesso tutto vola via nel limbo di un polverone infinito, lasciando alle nostre spalle il futuro. “Noi sogniamo il mondo” non è solo un libro fotografico di reportage che abbraccia luoghi e genti, è un sogno lungo quarant’anni, un viaggio verso Itaca che non finisce più, un diario fotografico, una serie di domande senza tempo sul senso della vita, sulla memoria, di una generazione che declinava il noi partecipativo, dai giochi di strada all’esplorazione del mondo, al sogno di una vita diversa illuminata di sorrisi, nutrita di utopia.Ha richiesto una vita intera, spesa camminando per le strade con unica bussola la libertà, sempre andando e fotografando, sempre domandando, domande che non si esauriscono mai, che rimarranno ad interrogare chi verrà dopo di noi, e proverà ancora emozioni e sarà stimolato a riflessioni e chissà, persino nuovi sogni. Certe fotografie oramai hanno una vita propria, e non smetteranno mai di vivere. Fotografando il mondo se ne diventa parte, e mettendo in circolo queste foto si condivide la sua sterminata umanità e bellezza, unico antidoto contro la paura, l’odio, la guerra. È un progetto che non ha sponsor o padrini, si regge solamente sull’empatia e la solidarietà di quanti mi hanno sostenuto con i loro sorrisi in questi anni, e sui vostri, nei giorni a venire.”
Stefano Pacini
—
Noi sognavamo il mondo
Il viaggio di Stefano Erasmo Pacini attraversa il pubblico per scavare nel privato e tornare a sciogliersi nella collettività: sono le facce e i corpi e i pensieri e i passi, i gesti, di chi ha sognato per un momento soltanto e di chi non ha mai smesso di farlo, a occhi aperti o chiusi, per indole o per necessità, ostaggio di una stagione o protagonista della propria esistenza fino all’ultimo goccio.
Questo libro mi sembra appartenere a chi attraversa la storia colorandola, sporcandola, aggredendola o subendola, mordendone la coda senza scriverla mai, eppure riuscendo – non soltanto attraverso queste immagini – a esserne protagonista. E sono le strade, i muri, il cielo e il mare che hanno accolto e respinto questa umanità: lo sgretolarsi delle città ai suoi (nostri) fianchi, si tratti di Volterra, di Mostar o de L’Avana; l’aprirsi di un orizzonte, di uno squarcio nel buio, il riedificarsi del sogno successivo; le rughe dettate dal tempo che passa o dallo sbocciare di un sorriso.
Il linguaggio è netto, senza fronzoli né trucchi, senza velleità eppure riconoscibile: ogni scatto guarda all’universo del Noi ma riflette le mani, l’occhio, il blues interiore di Stefano Pacini; dritto per dritto, nei colpi al cuore come nelle carezze, un bianco e nero che non fa sconti tramutandosi in narrazione, coinvolgendo lo spettatore nel compimento dell’opera: sta a chi sfoglia il libro (e non sarà una volta soltanto) immaginare tutte le foto rimaste nel cassetto e scegliere quelle più utili a cucire ogni pagina alla successiva. E proiettarsi oltre il punto, l’immagine finale, poiché questo viaggio non sembra affatto concluso.
Emiliano Gucci
—
Roberto De Gennaro
—
Noi sogniamo il mondo
Quando si fotografano persone a colori si fotografano i loro vestiti. Quando si fotografano persone in bianco e nero si fotografano le loro anime (Ted Grant)
Stefano, per i 60 anni appena compiuti, si è regalato questo libro-riassunto nel quale sono racchiuse le sue foto più significative di 40 anni di attività fotografica, prima da amatore poi da professionista.
In questo bel volume della Effigi Edizioni, scorrono così in uno splendido bianco e nero 40 anni di storia italiana ma non solo: dalla rivoluzione portoghese del 1975 a un reportage a Cuba di una decina di anni fa; da un matrimonio Rom in Veneto (una perla) alla Jugoslavia degli anni della guerra.
Il filo conduttore di tutto questo sono due: la macchina fotografica di Stefano, che non si limita ad osservare ma in qualche modo sembra partecipe degli scatti, e delle sorti di quello che accade di fronte ai suoi occhi, respira le loro ansie e le loro speranze.
E le anime delle persone fotografate. Anime che, in un modo o nell’altro, fanno tutte parte del Sud del mondo: dai bambini Rom fotografati nel 1994 a Reggio Calabria di fronte ad un muro che separava i rom dai civili, al prete che a Napoli confessa la gente per strada, passando per le foto della rivoluzione portoghese.
La fotografia, ricordiamolo, non mostra la realtà oggettiva- sembra un paradosso, ma è così- ma l’idea che se ne ha: è nella scelta dello scatto, della prospettiva, di quel particolare pezzo di mondo in quel momento che si compendia la propria visione del mondo.
È la foto che si scatta per non smettere di guardare, ha detto Pennac.
Stefano è poi tornato a Lisbona, 40 anni dopo, per una mostra delle sue foto, quasi a chiudere un cerchio iniziato in quella stagione degli anni ’70 dove tutto era in discussione, e di tutto si discuteva. Un mondo nel quale c’era tanta speranza di cambiare, sulle note di Imagine di John Lennon, del 1971.
Nel Sud del Mondo, fra quelli che viaggiano in direzione ostinata e contraria (di deandreiana memoria), c’è ancora spazio per discutere, e (forse) per sperare ancora nel mondo e nell’uomo: è questo il messaggio di Stefano nel suo libro.
Grazie per avercelo ricordato.
Alessandro Tozzi
—
“Il titolo e la copertina già dicono tanto, e se entri dentro poi…viaggi, vedi, vai…alla manifestazione per la pace, e dopo sei lì con gli operai di Piombino a chiedere il tuo. E con le ragazze che sorridendo mostrano il cartello: mamma posso sposarmi con lei? Anche te sei solidale, te che guardi, sorridi anche te. Sono immagini belle, belle e basta, belle e vere! Panorami e territori, città e Paesi, frazioni delle nostre province, gente stanziale e viaggiatori del mondo, uguali nella diversità che ognuno ha dentro e porta scritto addosso. Terra, cielo, mare. E l’inverno, quello del 2013 alla Rondinella, per me è una poesia, come il ritratto del vecchio leone. E poi musica, canto, festa lì al matrimonio Rom, e muri eh, che stiano a debita distanza, anche se la loro fisarmonica è la stessa dei nostri maggerini e della ragazza di Alfama che sale sull’autobus. Lisbona o St Maries de la mer, Massa Marittima o Cefalù, si incontrano, si riconoscono e si salutano. Ecco, nella carta te hai fissato la vita e anche chi come me non ha viaggiato, grazie ai tuoi scatti il mondo riesce a sognarlo e toccarlo un po’ più da vicino. Il viaggio continua, e ci saranno altri scatti, altre terre o sempre le stesse, ugualmente belle nella loro diversità. Per le strade incontrerai persone che, senza mettersi in posa,poseranno per te sorridendo. Questo ti auguro: tanti viaggi, sempre! E col cuore spalancato!”
Luciana Bellini
scrittrice contadina