Padre-figlio, corpo a corpo di sentimenti lacerati

Asciutto, doloroso, profondo ed essenziale. È un corpo a corpo di sentimenti lacerati, fino in fondo. Anche se poi la parabola termina con uno spiraglio di redenzione che non ti aspetti. Per Michele Cocchi, 38 anni pistoiese, La cosa giusta (edizioni Effigi) è il primo romanzo, che arriva dopo la raccolta di racconti “Tutto sarebbe tornato a posto” (Elliot). E nel suo srotolare e dipanare i grovigli dell’animo umano, si avverte il contributo del suo mestiere di psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza.

Nonostante la scelta del protagonista a doppio registro, con padre e figlio che si alternano i capitoli e i punti di vista della narrazione, è con Gabriele che si schiera il lettore, per seguire questo sedicenne in fuga da un padre con troppi torti per suscitare compassione. Gabriele scappa dopo una furiosa lite e si allontana attraverso il bosco, attento a far perdere le sue tracce ed entrare in simbiosi con una natura spettatrice indifferente delle sue sofferenze.

Il padre a casa, fra alcol e ira, arranca nei ricordi e nella pianificazione di un castigo-vendetta per quel figlio ribelle, che si mette a cercare con il ghigno del cane che insegue la preda. Neppure il tentativo di aiuto da parte dell’amico prete servirà a placare la sua furia. Del resto, nessuno lo ha mai aiutato davvero e nessuno lo potrà mai aiutare. Finché una mattina il commesso dell’emporio lo chiama al telefono: al mercato, il venditore di uccelli ha riconosciuto suo figlio che sembrava scomparso. E che invece è rifugiato poco lontano, in un casolare, con uomini e donne che hanno lasciato la città per trasferirsi in montagna in una sorta di comune-cooperativa che cerca di liberarsi dalle cose superflue della nostra contemporaneità.

Il racconto si snoda e si intreccia tra i pensieri del padre che non ricorda e la lucidità del figlio che non vuole parlare, in un susseguirsi di dialoghi serrati che disegnano una storia corale da leggersi tutta d’un fiato. Una favola moderna e amara. Ma forse una speranza c’è, anche per loro.

Olga Mugnaini

 

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