Ulisse al contrario. Il bel paese e la filosofia
Quando Friedrich Nietzsche si dimette dalla prestigiosa cattedra di filologo classico che teneva per chiara fama nella piccola ma rinomata Università di Basilea, pur con tutte le mille sensibilità di cui l’avvertito, profondo pensatore tedesco era fornito, egli era ben lontano persino dall’immaginare di star compiendo, purtroppo, il primo passo verso il definitivo addio al mondo umano, troppo umano, verso il baratro da cui ormai non sarebbe più potuto tornare indietro. Lui era convinto, invece, ingenuamente, di star soltanto andando verso la vita, di andare finalmente verso la ‘grande salutè che davvero si meritava…
Era già da molti anni ormai, infatti, che Nietzsche scrutava l’abisso, ed era stanco di sentirsene scrutato impietosamente e crudelmente a sua volta. La grande salute lo stava abbandonando del tutto. Le estati a Sils Maria, i pochi giorni di riposo mentale che si offriva a Lenzer Heide non bastavano piùper scrollarsi di dosso quel terribile sguardo di mostro, quella nera presa alla schiena del nichilismo europeo, che lo mangiava dall’interno, e che il grande pensatore non poteva ormai più nemeno tollerare su di se.
Da questo estremo tentativo di fuga verso una nuova vita nasce quindi il Nietszche italiano che leggiamo ed impariamo ad amare in queste stupende pagine di un poeticissimo diario d’Italia. È innanziutto una fuga verso il Rinascimento, verso i grandi condottieri, verso i fondatori di stati, i reggitori di religioni sulla punta della spada, verso Machiavelli e il suo duro sguardo sul presente, verso città fantastiche come le architetture sull’acqua di Venezia, verso le api operose dei Barberini, che il pensatore tedesco amava così visceralmente. Che rivaleggia, almeno secondo lo scrivente, con il bello, e luminoso, Diario italiano di Goethe. Che, per molti versi è, nella cultura tedesca, proprio l’anti–Nietzsche.
C’è anche tanta musica, musica di scena, musica da teatro, musica visibile, tanta grande e bella musica in queste pagine italiane di Nietzsche, perchè, come già fu per Haendel, come per ogni tedesco colto che si rispetti, l’Italia è prima di tutto musica, canto, prima di tutto l’Opera Lirica, dove è nata, da Monteverdi, a Lorenzo da Ponte, fino a Rossini, Verdi, Puccini.
Ma ricapitoliamo il vitale percorso filosofico fin qui fatto dal giovanissimo e coraggiosissimo pensatore tedesco. Nietzsche nasce da padre protestante in un piccolo paese sassone della provincia tedesca, Rocken. Perde il padre molto presto, e questa è la prima, grave ferita che la vita gli infligge senza motivo alcuno quando ancora è incapace di difendersi. Nietzsche capisce allora che ha bisogno di una filosofia della forza. La perdita dell’amato padre infatti mette definitivamente il piccolo Nietzsche nelle mai di due delle persone che egli temeva di più: la madre e la sorella. Che rappresenteranno sempre per lui il principio anti-vitale, quella che Nietzsche chiamerà la ‘morale dei ciandala’, la morale degli schiavi, dei risentiti. Un oscuro miscuglio di rinfacci, risentimenti, ricatti morali ed affettivi, da cui il Nietzsche pre adolscente si sente strangolare e da cui non sa come liberarsi, respirare, come scappare. I suoi istinti vitali, Nietzsche lo scrive chiaramente più volte, sono duramente messi alla prova dal contatto quotidiano con la madre e la sorella, che diabolicamente drenano la linfa che tiene in vita il giovane Nietzsche.
Come si salverà il nostro giovane eroe? Come in ogni grande mito greco che si rispetti, si salverà grazie alla sua testa. La sua testa, infatti, gli darà le ali per sollevarsi al di sopra della miseria umana e sociale a cui si trova condannato. Il giovane Nietzsche infatti si reca presso il vicino, venerabile seminario di Pforta, che è una scuola convitto, che offre dunque studio e camerette, e si candida ad entrare.
Forte in latino, ed ancor più forte in greco, lingue antiche che Nietzsche aveva coltivato in quegli anni con l’amato padre e con la disciplina di uno studio matto e disperatissimo, il giovane candidato non ha nessun problema a superare in grande scioltezza l’esame di ammissione. D’altronde, ha i classici greci e latini sulla punta delle dita, non prendere quel ragazzo sarebbe una bestemmia. Il ragazzo intanto è già profondamente segnato dallo sforzo disumano che sostiene, in giovanissima e delicatissima età, per entrare nel venerando seminario. Nietzsche è consapevole di camminare sul fil di lama, come quando racconta che innaffia con il grog il suo latino, per renderlo più brillante.
L’ammissione alla scuola infatti significa per il giovane Nietzsche, che lotta strenuamente per rimanere un individuo, una persona, se stesso, non solo una maschera, significa l’abbandono di tutti i suoi sogni di sole, luce, Grecia e Italia. Qui siamo veramente dentro una pagina di un racconto breve del romanticismo tedesco, che so, nel delizioso Mozart in viaggio verso Praga, o nel Chiosco del giardino di Pressel.
Per tutti gli anni per cui si è impegnato, il govane Friedrich, senza considerare i costi spirituali di tutto ciò, tiene fede all’impegno dato. è il migliore allievo della venerabile scuola, il miglior docente, il filologo e lo studioso più agguerrito, il loro campione, il cavallo di battaglia. Studia ed analizza le fonti greche e latine con la fermezza di mano e la maturità di un filologo classico esperto che potrebbe avere ormai il doppio dei suoi anni. E non tralascia di affiancare questa sua sapienza tecnico linguistica ad una adeguata e coerente Weltanschauung, ad un solido punto di vista ben informato che sostenga solidamente appunto, quegli studi e quelle ricerche.
Il punto di vista, ormai lo sappiamo bene, è la grande e profonda visione del sapere greco romano pre cristiano che Nietzsche fonda proprio negli anni in cui sta per usicre da Pforta. Il punto di vista è il suo grande studio, per esempio, sulla nascita della tragedia dallo spirito della musica. Oppure il suo studio (segreto) sulla nascita del cristianesimo come tradimento e volgarizzamento dello spirito greco-romano, sulle ceneri di quello che è proprio lo spirito greco-romano.
Il popolo sta per diventare massa pericolosa, onnivora, pronta a tutto. Nietzsche è ormai un giovane e promettente accademico a Basilea. Sa già che le porte dell’accademia e dello studio professionale del mondo antico sono pronte a spalancarsi per lui. Nel tempo libero, si diverte ad improvvisare sul pianoforte e a comporre. Pagine meravigliose e ricche di una propria perfezione che servono, secondo Nietzsche, ad illustrare i suoi pensieri. In questo momento, il musicista Nietzsche prende anche un abbaglio su Wagner, che considera anch’egli un copista su carta da musica delle idee nicciane. Proprio come faceva la musica nella tragedia antica. Diamine, era stato proprio lui, il giovane Friedrich, a dimostrarlo! Ma Wagner, invece, ben presto, si rviela per tutt’altro, per quello che il pensatore definirà un filisteo. Per Nietzsche sarà un dolore che non riuscirà mai a metabolizzare.
La musica evoca la tragedia, il sangue, il sacrificio, il canto dei capri, la dispiega, la assorbe e poi rende gli uomini pronti ad affrontarla, ad attraversarla. Per questo Nietzsche compone, ed è questo che Nietzsche cerca nella composizione. Cerca la salvezza dallo scialo di se che fa quotidianamente. Dal gettare via se stesso che fa quotidianamente. Ha bisogno, Nietzsche, di un kathekhon, di una radice che lo trattenga, impedendogli di rovinare nel baratro.
Eh sì, perchè succede ormai che Nietzsche si rende conto di buttarsi via ogni giorno. Si butta via ogni giorno insegnando. Non è proprio una cosa per lui. Quegli alilevi, quei caprai, quei contadini, quei montanari, di poco più giovani di lui, non lo seguono, non lo capiscono, non lo ascoltano, non ci arrivano, non sono più in grado di porgli le domande giuste. Non parteciperebbro ad una guerra, se venisse dichiarata. Ogni giorno in più all’università per Nietzsche è dunque un giorno di inenarrabile spreco, di cammino verso la follia. Ed infatti comincia davvero a sentirsi male.
Perde la vista, sente improvvide ondate di freddo e caldo, è incapace di concentrarsi, di studiare e di scrivere. Non riesce a toccare cibo. Se gli danno qualcosa, lo vomita immediatamente. Quando gli arrivano queste crisi, si annunciano con una sudorazione abnorme calda e fredda, e si sente svenire. Nietzsche ha imparato che c’è solo un modo per salvarsi: quello della Ginestra di Leopardi. Piegarsi sotto la lava per aspettare che gli passi sopra.
Ed è quasi sempre una cura che funziona. Nietzsche si chiude dunque nelle sue stanze, nel buio totale, per la durata cristica di tre giorni. Al termine dei tre giorni può risorgere, finalmente. è distrutto, è a pezzi, ha attraversato a piedi l’inferno, ha fatto e visto cose terribili. Ma è tornato, è vivo. E soprattutto ha capito cosa la malattia, il baratro che lo scruta, gli vuole dire.
Deve lasciare Basilea. Lasciare l’università. E vivere alla ricerca della terra del sole, del mare, degli dei. Possibilmente non da solo, secondo un sogno privatissimo, cioè quello di poter incontrare un giorno un cuore gemello, che percorra con lui questi felici giardini. Il filosofo aveva a lungo sperato che si trattasse di Lou von Salomè, ma che crudele errore! Riuscirà a strapparsi dalla mente e dal cuore l’immagine del suo amore illusorio. Da qui gli verrà tutta la forza che gli manca. è, sarà un Ulisse al contrario. Incipit vita nova. Zarathustra ha scelto di diventare uomo. Ma questa reclusione nel grigio, freddo, stolido inverno Svizzero, col tempo, non gli serve più a nulla, è solo il fantasma di una cura, sposta solo un pò più in là il grande male di Nietzsche. No. Bisogna scendere olte Venezia, oltre Genova, oltre Roma, oltre Napoli, piegare verso l’Acheronte, l’Averno, alla ricerca del Ramo d’oro, seguendo la guida di Virgilio. E se possibile scendere ancora, attraversare le terre del Satyricon, giungere fino alla Sicilia, sulla scorta di Empedocle. Da li sognare il grande salto nel blu della sapienza greca. Finalmente. È il sogno, la gioia di una vita.
Ecco perchè alla fine, pur sapendo che è una scelta dell’abisso, il filosofo lascia l’universitàe inizia la discesa vero il profondo, verso le madri, che leggiamo in questo libro unico e meraviglioso.
Stefano Adami