Lo sguardo di uno scrittore prolifico

Star dietro a Giuseppe Ciani è un bel problema. Nato in quel di Bellegra nel marzo 1937, trapiantato a Siena da decenni — del 1961 è la sua prima mostra di pittura —, Beppe è scrittore prolifico e, quanto alle arti figurative, sempre pronto a sperimentare nuove vie: dalla manipolazione delle foto al riciclaggio pop di rifiuti resuscitati a fantastica espressività. La sua opera è sostenuta da spirito didattico, stimolata dall’indagine di uno che si guarda intorno e vuoi offrire con frenetica generosità un soccorso di parole e segni. Sul, mio tavolo si è accumulata una quantità di libri che si dispongono in un arco che va dal 2007 (A passo lento) al recente Madeleine (2018). Se non un coerente filo tematico, li associa tutti una sottesa riflessione sugli anni del tramonto, quando i bilanci diventano inevitabili e si rincorre il senso dell’esistenza scavando tra i ricordi o abbandonandosi a incontrollate sensazioni estreme. Il vecchio Aleardo, coinvolto in un processo di ascendenza kafkiana, ripercorre incerto e inquieto, lungo la consueta passeggiata mattutina, momenti salienti della sua esperienza, ma non riesce a classificarne con decisione atti o omissioni. Nota Giorgio Bàrberi Squarotti nella prefazione che l’ambivalenza «fra difesa e confessione sono la rilevanza e l’originalità mirabili del romanzo», che si conclude arrestandosi nel dubbio di una non pronunciata sentenza. Ognuno di noi è il solo giudice di sé. I rintocchi della campana non giungono al decimo don. Maurizio è un vecchio che intesse un rapporto sempre più intimo con la badante moldava Aglanida e ne resta frastornato. Ella proviene da un mondo lontano. Quando l’uomo si assopì accanto alla donna — e non ci sarà risveglio — «gli parve di udire la voce materna e il mormorio canoro che faceva per farlo dormire». Cala il sipario. La triste chiusa contiene qualcosa di allegoricamente eloquente: in un’alterità misteriosa si può rinvenire quella stessa dolcezza che aveva rallegrato l’infanzia. I fondamenti esistenziali accomunano oltre le frontiere. Così la figura etichettata ormai come badante — neologismo da poco registrato con strumentale disinvoltura — acquista un’affettuosa umanità. Ben diversa è la situazione di un Lorenzo travolto dall’abbagliante irruzione di una modella, che lo spinge ad annientarsi nell’«infinito nulla»: la Bellezza assume romanticamente il volto della Morte. In Madeleine Ciani insiste sul motivo del Tempo con la T maiuscola. Il protagonista Innocenzo è ossessionato da timorose allucinazioni: «Il pensiero della vecchiaia era ormai entrato nella sua mente e cominciava a trasformare perfino l’immagine fisica di lui, incurvandola». Sono percepibili nelle prove narrative di Ciani, che predilige la misura del racconto-apologo, osservazioni ricavate dal suo lavoro, dal comprensivo sguardo sulla società di oggi, con le sue continue ansie ed i suoi dolorosi interrogativi. L’esito è una costruzione di storie fitte di tormenti restituiti con una piana prosa analitica. Mi hanno fatto rammentare due versi di un poeta senese in esilio, che ebbi la fortuna di avere allievo al liceo. Cesare Viviani in Osare dire sillaba un distico che ha la secchezza di una massima irrefutabile: «È passata la vita, / e non ce ne siamo accorti».

Roberto Barzanti

La Voce del Campo – Giovedì 24 Gennaio 2019/ Numero 1 Pagina 14

 

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