Le incompiute

Non si può comprendere appieno la natura dei tormenti femminili d’amore qualora non si conoscano le mie amiche Manu e Simo. Irrilevante il fatto che i loro nomi all’anagrafe siano Manuela e Simona. Non sarebbero loro se, fin dalla prima infanzia, le loro madri, cugine di primo grado, non avessero abitualmente usato questi diminutivi.
Mi ricordo benissimo quando, ai tempi della scuola materna, le due bionde e cotonate signore, chiamavano alternativamente “Manuuu”, “Simooo”. E sempre sono rimasti nei meandri della loro laringe sia l’ “ela” che il “na”. Così le due fanciulle sono cresciute un po’ incompiute come i loro nomi. “Nomina sunt consequentia rerum” ? In questo caso direi piuttosto che “res sunt consequentia nominum”. Tradotto: dal nome dipende il carattere. Qualche volta, almeno. Senz’altro in questo caso.
Sono carine entrambe, anzi, a vent’anni erano decisamente bellocce, con quella quarta di reggiseno che agli uomini non dispiace, vita sottile e ben formato posteriore. Manu bionda, con labbra leggermente socchiuse, alla Brigitte Bardot, e gambe chilometriche. Simo mora, col viso leggermente rotondo, occhi neri con lunghe ciglia umbratili, sguardo dolce e suadente.
A differenza di me, che ho sempre avuto la taglia 42 piatta, loro, pur decisamente snelle, lasciavano intravedere dagli scolli delle camicette una lieve sovrabbondanza di seno ed avevano gambe slanciate che ben figuravano sia con i jeans stretti che con le minigonne.
È evidente che , con queste caratteristiche, non mancavano loro corteggiatori e spasimanti, ma, devo dire, che anche le due ragazze non facevano che spasimare.
Già alle scuole medie occhieggiavano i ragazzi dell’Istituto Tecnico, dirimpettai per sorte della nostra classe e devo dire che Manuela iniziò a soli tredici anni il primo flirt proprio con uno di loro, di nome Carlo detto Fonzie, che era specialista in seduzione di adolescenti. La cosa si risolse in qualche bacio fugace, dopodiché il Casanova della finestra di fronte, decise di tornare a ragazze più grandi e disinvolte.
Ma quei primi baci di Manu accompagnarono per mesi le nostre conversazioni. O meglio, le loro chiacchiere. Perché solo Manu e Simo parlavano, mentre io e Martina, fin da allora a me molto vicina, ascoltavamo quasi in silenzio, io già curiosa e osservatrice, Martina un po’ annoiata e perplessa.
Sono davvero grata alle mie amiche, perché, con i loro amori incompiuti e tormentati, mi hanno davvero aiutato a inquadrare e sistematizzare tanti aspetti dei sentimenti e delle loro conseguenze senza dovermi impegnare a viverli per esperienza diretta, cosa invero assai faticosa e, a parer mio, anche piuttosto rischiosa. Il pericolo (anche affettivo) non è certo il mio mestiere. Ma il materiale che dalle due belle e seducenti fanciulle è approdato alla mia scrivania è non solo di prima scelta, ma vario e multiforme.
Le loro vicende hanno colorato la mia adolescenza studiosa e sognatrice con iridescenti riflessi d’avventura. La continua ricerca di completezza (che forse, chissà, avrebbe permesso anche di completare i loro nomi…), quel modo di tendere continuamente verso un universo maschile che troppo spesso si rivelava inafferrabile, mi hanno permesso di capire che esiste una tipologia di donne “dimezzate”, senza pace finché non riuniscono, in maniera direi mitologica, la loro metà con quella maschile che sicuramente esiste e che sola può renderle realizzate e felici.
Certo, i tentativi per la ricerca di una simile perfezione si concludono spesso in modo infelice, perché colui che sembrava la mezza mela mancante si è rivelato essere un arancio o una susina o magari neppure un frutto, data la totale assenza di succo e sostanza.
Ma, d’altra parte, è pur vero che l’ispirazione poetica e letteraria scaturisce perlopiù dagli amori infelici, quelli che non si sono compiuti, perché, come in tutte le leggi di natura, è la differenza che crea il potenziale.
Se dunque un amore nasce e cresce sereno, appagante, equilibrato, cosa ci sarà mai da scrivere? Tutt’al più, nelle favole, si conclude spesso con un generico e catartico “vissero per sempre felici e contenti”. Ma nessuno ha mai approfondito se Cenerentola abbia avuto un calo di desiderio dopo i primi tre anni di matrimonio. O se il gagliardo marito della Bella Addormentata si sia reso conto che da sveglia la dolce sposa risultava piuttosto rompiscatole. O se invece il Principe Azzurro di Biancaneve, durante una partita di caccia nei suoi sconfinati possedimenti, si sia appartato con una sveglia contadinella che, mentre la consorte si incipriava davanti al famoso specchio, abbia provveduto a risvegliare pulsioni sublimate nel matrimonio con la fanciulla dai capelli d’ebano.
Eh, no, non lo sappiamo e, soprattutto le signore, sono cresciute pensando che quel finale favolistico fosse un diritto e una certezza. Era solo questione di trovare il predestinato.
Ma la cosa più curiosa è che, nonostante lo scorrere del tempo e il cambiamento del costume, benché le fanciulle non siano in genere propriamente illibate né si dilettino usualmente di ricamo al tombolo e di lavori all’uncinetto, ebbene, coltivano lo stesso sogno delle loro antenate, quello del Cavaliere Salvifico che le amerà, le proteggerà, farà vivere loro indimenticabili notti di passione, tutto questo, naturalmente, per sempre.
“I tempi sono cambiati “ diceva giorni fa una mia collega “vedi, le ragazze godono di ogni libertà, sono disinibite, indipendenti”.
Le ho fatto notare che, in verità , si è solo allargata la cornice, ma , a fronte di una indubbia maggiore libertà sessuale, persiste il mito dell’Identità Condivisa, del Modello Unico, della realizzazione che passa esclusivamente attraverso l’essere la metà di una coppia . Non solo. Nella cornice allargata, ciò che è veramente cambiato non è l’aspirazione di fondo né la qualità dei rapporti, ma l’estrema precarietà, oserei dire caducità, di questi ultimi.
Leggo nell’Enciclopedia della Donna, edizione 1949, che la giusta età per il matrimonio borghese è di ventiquattro anni per la donna e trenta per l’uomo.
Così, esplicitamente, si fa riferimento ad una solida posizione economica del maschio e ad una adeguata maturità della gentile nubenda che avrà imparato a gestire la casa nel modo migliore oltre ad avere quella formazione culturale necessaria per le giovani di buona famiglia, magari con molta economia domestica, un po’ di pianoforte e qualche conoscenza dell’arte di ricevere ospiti.
In maniera implicita, poi, si immagina che, a trent’anni, l’uomo,in qualche modo cacciatore, abbia avuto le necessarie esperienze sessuali per iniziare la casta sposina ai segreti dell’alcova. Ho detto segreti e non piaceri, perché il letto coniugale, all’epoca, era inteso per la donna più come una sede, l’unica, dove la sua più intima femminilità potesse avere compimento, l’apice del quale era mettere al mondo una o più creature nel giro di pochi anni.
Il vantaggio indubbio di tutto questo era la “sistemazione”, il matrimonio era per sempre, lo sciogliersi di un vincolo coniugale, oltre a essere rarissimo, costituiva per la donna una vera e propria rovina sociale, uno sfacelo, una perdita di identità. Ma questo, invero, avveniva assai di rado. Si poteva dunque dire che, una volta celebrato il matrimonio, nel bene e nel male, le due persone sarebbero rimaste unite, magari con qualche scappatella (dell’uomo, ovviamente, dato che era pur sempre maschio e dunque fornito di testosteroniche giustificazioni), ma, comunque , generalmente, era valido l’assioma “finché morte non vi separi”.
Ora, come dicevo, le cornici sono più ampie, le ragazze hanno le loro esperienze, si convive, si divorzia e si hanno famiglie allargate.
Ma, diceva Aristotele, la natura umana rimane sempre la stessa, pur modificandosi il contesto e così i sospiri d’amore non sono certo diminuiti in questa società permissiva. Piuttosto, direi, grandemente aumentati, data la molteplicità delle storie , la precarietà dei legami e l’allungarsi della vita media che rende ancora dolcemente trepidanti distinti signori ed eleganti gentildonne che cinquant’anni fa avrebbero potuto aspirare solo al ruolo di nonni o di bisnonni.
Ma torniamo alle mie due favolose e sospirose amiche. L’ispirazione che mi hanno dato deriva appunto dal fatto che il leit-motiv della loro vita è stato l’anelare a qualcosa di definitivo e miracolistico. E questa tendenza ha fatto sì che le loro vite siano state variopinte e non beige e rosa pallido come i miei golfini da scuola.

Non basterebbe un intero romanzo per descrivere le epiche operazioni di ricerca delle due.
È anche per merito loro che ascolto Radio Cuore. Perché spesso riconosco nei versi di Mogol o di Bigazzi o della grande Nannini momenti della vita delle mie amiche.
Dopo le medie e i baci rubati di Fonzie, le nostre strade scolastiche si divisero.
In realtà erano abbastanza studiose, ma il concetto che le animava (e che aveva in precedenza guidato le loro madri) è che una ragazza non può fare il liceo, perché il suo vero destino è la coppia e la famiglia. Così si iscrissero alle Magistrali, oltretutto più corte di un anno, nella convinzione che a diciotto anni sarebbero state pronte per il matrimonio e dunque non era il caso di perdere tempo.
La nostra amicizia, comunque, continuò. Ci vedevamo spesso, erano loro che venivano a trovarmi, per raccontare gli incontri, i baci, le prime esperienze più ardite.
Spesso si trattava di situazioni romantiche. Spiagge con la luna in estate, notti fredde e stellate d’inverno. Poi, dal romantico, non era difficile passare all’erotico, aumentando la “tonalità” di quest’ultimo col passare degli anni. Ma, non si sa perché, le storie si concludevano sempre in modo misterioso o indefinito. Il “principe” spariva o piuttosto se la dava a gambe quando capiva quali aspettative ed illusioni aveva suscitato.
Manu e Simo cominciarono a pensare di avere il malocchio e giravano per maghe e cartomanti che “diagnosticavano” la fattura e la toglievano, pronosticando un fantastico fidanzato prossimo venturo. Così, di maga in maga, avvenivano incontri, ma non era mai quello giusto.
Intanto si erano diligentemente diplomate e Simona aveva trovato subito un impiego come segretaria nello studio di un noto avvocato della nostra città.
“Ma perché non vai all’Università? Sei brava e capace, sprecata come segretaria”.
Ma lei, che sognava un imminente sposalizio, aveva detto che preferiva un impiego anche modesto. Tanto, poi, avrebbe messo su famiglia e, come sua madre, si sarebbe dedicata a figli e marito.
Per Manuela, invece, le cose sembrarono mettersi subito al meglio.
Nell’estate del diploma, partecipò a una festa del Circolo Ufficiali a cui l’aveva invitata la zia materna, sposata con un colonnello.
La bionda Manu giunse alla festa bella come Cenerentola e, come lei, piena di aspettative. Io stessa avevo assistito alla sua “vestizione” e, insieme a Martina, le avevamo acconciato i capelli in un delizioso chignon. Abito rigorosamente lungo, azzurro pallido, orecchini di acquamarina. Una vera principessa, commentò Martina.
E infatti, quella sera, il ballo andò come doveva. Un giovane pilota che neppure Liala avrebbe saputo immaginare, bello, alto, con folti capelli castani e mascella volitiva, fu letteralmente folgorato dall’Incompiuta Manu e, dopo aver danzato con lei tutta la sera, le propose di sposarlo e di accompagnarlo nella sua prossima destinazione in una base militare del sud Italia.
A me e a mia cugina sembrava tutto molto affrettato. Ma Manuela, appoggiata da Simona e dalla sua famiglia, decise immediatamente che quello era l’INCONTRO del DESTINO e non rimaneva che arrendersi ad un così potente richiamo.
La passione tra i due infuriava, il giovane pilota di nome Armando, era ardito e passionale e la virtù della bionda promessa non era proprio quella fortezza inespugnabile (e neppure inespugnata…). Così, dopo due mesi di travolgente passione, una bella mattina di ottobre, i due innamorati convolarono a nozze in Cattedrale, con ufficiali in divisa e signore in decolté. La sposa radiosa, con strascico e damigelle, lanciò il bouquet all’uscita della chiesa e fu Simona, non casualmente, ad afferrarlo ed avrebbe quindi dovuto essere lei la prossima. Ma, come si vedrà, le convinzioni tradizionali non sempre corrispondono a verità…
Dopo Natale, gli sposi, che erano ogni giorno più splendenti, partirono per la nuova destinazione, non senza lacrime di amiche, madri e zie.
“D’altra parte, però – commentava Simona tra i singhiozzi – lei va verso la felicità”.
Non si può dire certo che questa affermazione fosse profetica.
Infatti, poco prima del successivo Natale, Manuela aveva già fatto ritorno a casa, senza l’Armando, però.
I genitori, imbarazzati, spiegarono la fine del matrimonio con maltrattamenti che la giovane avrebbe subito. “E dire che sembrava così bravo… ed invece, un vero mostro…”.
La verità, che lei confessò quasi subito a noi amiche, non era esattamente questa.
Il fatto era che, dopo i primi mesi, la routine domestica aveva attenuato rapidamente la passione e lei si era ritrovata sola, in una città dove non conosceva nessuno, con un principe già trasformato, non dico in rospo, ma semplicemente in marito. Che, oltretutto, era spesso in missione e lei trascorreva giornate intere in casa a guardare la televisione. Abbrutita, diceva, spenta. Si può essere spente a diciannove anni? No di sicuro. Così le attenzioni di un giovane edicolante (unico conforto era infatti la lettura dei rotocalchi) l’avevano aiutata a trascorrere un’estate calda e solitaria.
Si era tirata su di morale, in effetti. Finché, un mattino di novembre, il pilota era tornato in anticipo dalla missione, trovando nel proprio letto la giovane sposa con l’intraprendente giornalaio. Che era riuscito a fuggire in modo rocambolesco inseguito dal militare furibondo. Ma lei non aveva dove scappare. Così si era presa uno schiaffo dal marito (uno solo, ma forte, diceva) che subito dopo l’aveva invitata a fare le valigie e a tornarsene donde era venuta.
Così, la bionda Manu si ritrovava neppure ventenne e già separata, incerta sul futuro e di nuovo terribilmente incompiuta.
“Devi rimetterti a studiare” le dissi subito. E questa volta, chissà perché, mi diede retta. Per tre anni si trasferì a Firenze dove frequentò con successo il corso per diventare Ostetrica, professione che svolge da allora con grande passione e scrupolo.
Intanto Simona, tra alterne vicende, continuava il suo lavoro di segretaria con non troppa convinzione, dato che l’atteso sposo stentava a manifestarsi nonostante la moltitudine di tentativi della nostra amica.
Si manifestò invece un altro tipo di fenomeno, molto più comune dell’amore perfetto, ossia quello dell’incontro con l’uomo che ha un matrimonio “tanto, ma tanto infelice”.
Lo studio in cui lavorava acquisì infatti un nuovo socio quarantenne e abbronzato, il tipo settimana bianca e SUV, per intenderci. Si inquadrarono subito a vicenda, lei trafitta dalle frecce di Cupido, lui colpito dalle frecce di un dio lievemente meno nobile…
La più banale delle storie, segretaria-principale sposato, fu ammantata subito da Simo con le vesti di un grande amore. Quante di queste situazioni ho osservato nei miei lunghi anni di antropologico studio dell’infedeltà. Un uomo in posizione di potere e una donna che lo idealizza, lavora insieme a lui, gli prepara le pratiche, gli fa fare bella figura e gli dà del lei davanti agli altri. Lui è sposato, ma tanto infelice…
Può trattarsi di una coppia medico/infermiera, principale/commessa o ,come in questo caso, professionista/segretaria. Ma il copione è sempre lo stesso.
Lei è certa che lui lascerà la moglie (cosa che avviene circa nel 3% dei casi), ammira la sua dedizione al lavoro e anche la serietà di un uomo che subisce una donna prepotente che non ama più e che lo ricatta con i figli.
Lui giura che sta facendo un percorso. Progressivo allontanamento, poi, un giorno, appena i figli saranno più grandi si separerà. Rapporti con la moglie? Mai più, per carità, da anni… A volte, in queste situazioni, però accade che la moglie rimanga incinta. “E’ accaduto solo una volta, una sera, avevo bevuto… “ o in alternativa “È successo solo una volta, per tranquillizzarla… sai fa continue scenate…” .
E intanto trascorrono mesi, a volte anni.
E così andò la storia di Simo con l’avvocato non troppo prestante (era piuttosto bassino, diversi centimetri più basso di Simo e pure un po’ sovrappeso), ma sempre abbronzato. Il nome non conta, tanto è uno così, uguale a tanti altri. Uno che ha avuto il terzo figlio con la moglie durante la relazione con la mia amica. La quale ha compreso e perdonato “Poverino, è stato così, una volta sola…”. Che ha trascorso domeniche e feste in solitudine per anni , mentre il nostro andava in vacanza con la famiglia, a sciare, alle Maldive e in un sacco di altri posti.
Uno stereotipo, direi. Eppure, queste storie devote e ancillari, memoria di ataviche sottomissioni, continuano a fiorire e spesso non serve l’esperienza o il racconto per convincere una donna innamorata a desistere dal principio da certe situazioni.
La relazione di cui sopra è andata avanti per dieci anni ed è finita quando l’avvocato ha cambiato studio e segretaria…
Nel frattempo, Manuela, diventata ostetrica, ha cominciato a lavorare in ospedale e, data l’esperienza dell’amica, ha evitato accuratamente storie simili.
Non le è mancata certo l’avventura con l’uomo sposato, ma diciamo che non si è fatta troppo male, è riuscita a non investire e a non rivestire la storia di significati ad essa estranei.
Non si può dire, però, che non le siano capitate situazioni un po’ speciali, dopo il naufragio del suo breve matrimonio.
Solo recentemente ci ha raccontato che, quando studiava a Firenze ed era triste e depressa per la separazione e la solitudine, aveva sentito il bisogno di qualcosa di diverso ed era entrata in un gruppo di preghiera, seguito da un sacerdote molto serio e preparato che guidava le anime perse del gruppo nella lettura delle Scritture.
La cosa era andata avanti bene per circa due anni, in cui Manu, oltre alla Fede, aveva recuperato anche un minimo di serenità ed era riuscita, con l’aiuto del prelato, a far annullare il suo matrimonio alla Sacra Rota.
Così, di nuovo libera davanti a Dio e agli uomini, aveva cominciato a frequentare Lucio, un ragazzo della parrocchia, ne aveva conosciuto la famiglia e stavano cominciando a pensare di sposarsi non appena lei avesse conseguito il diploma di ostetrica.
Ma, come sappiamo, non è facile per una Incompiuta portare avanti un progetto razionale. Si badi bene, lei ne ha tutte le intenzioni.
E tutto l’impegno veniva profuso da Manu nei confronti del suo fidanzato devoto e dei suoi genitori noiosissimi.
Andava a pranzo tutte le domeniche e si asteneva dal sesso prematrimoniale, benché ne avesse già praticato non poco dentro e fuori il precedente vincolo.
Ma il diavolo ci mette la coda… e in questo caso è quanto mai indicato questo detto.
Il sacerdote guida del gruppo, infatti, dovette subire un intervento piuttosto serio, seguito da lunghe terapie.
La lettura dei testi sacri e la loro spiegazione, nonché la preghiera collettiva, furono così affidate ad un altro religioso, un prete molto più giovane, ma preparato e competente.
Manu, ormai, frequentava l’ultimo anno di corso all’Ospedale di Careggi e anche il sacerdote si recava spesso là per portare conforto a parrocchiani ricoverati.
Così, la prima volta casualmente, la seconda un po’ meno, cominciarono ad incontrarsi al bar dell’Ospedale. Un caffè, un succo di frutta, un toast… E così via.
Finché un pomeriggio, la mia bionda amica, appena uscita dal tirocinio, non fu sorpresa nell’incontrare Don Gabriele che le apparve particolarmente luminoso e comunicativo, in accordo con l’Angelo di cui portava il nome.
Così decise su due piedi di invitarlo a prendere un caffè nel suo piccolo appartamento, a poca distanza da lì.
Don Gabriele non rifiutò l’invito e così, per la prima volta, si trovarono da soli, davanti a due aromatiche tazzine, in un monolocale profumato di incenso e lavanda…
Non descrivo cosa accadde. Immaginatelo. E, se non vi riesce, pensate che Manu proveniva da oltre due anni di astinenza sessuale, diamole almeno le attenuanti generiche…
“Ma proprio con un prete…” commentò Martina il giorno in cui la nostra amica confessò il misfatto.
“Guarda , Martina, io ero convinta di rimanere casta fino al nuovo matrimonio…
È stato proprio il fatto del prete che mi ha ingannato. L’ho portato a casa mia pensando che tanto era un prete, non poteva succedere niente. E ti dirò di più, anche mentre stava accadendo pensavo che non era possibile… E poi, dopo, ormai era successo. Che vuoi fare?”.
“Appunto – commentai – Che vuoi fare? E tu che hai fatto? Immagino che non l’avrai visto più…”.
“ Ehm, veramente… qualche volta ci siamo rivisti. Poi ho lasciato Lucio e il gruppo di preghiera. Don Gabriele, però, non mi ha abbandonato. Ogni tanto veniva a darmi qualche lezione privata…”.
“Caspita! Ma era un prete!”. “Sì, e lo è ancora. Non l’ho più visto da quando ho finito gli studi. Però lo ricordo con affetto. A Natale mi manda sempre gli auguri”.

(continua)

Fulvia Perillo

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