Le figurine della maremma di Mauro Papa
Il titolo riporta volutamente la maremma con la emme minuscola, rivendicata dall’autore, senza darne spiegazione; penso a voler significare una presa di distanza da ogni sacralizzazione del luogo. L’operazione complessiva, che condivido, è quella di prendere le distanze da una tradizione inventata, da un maremmanità di cui, come dice Massimiliano Frascino della “Presentazione”, è stata costruita “una retorica semplificatoria e passatista, fermentata nella bassa cucina della politica locale (destride, in prevalenza, ma anche sinistride)“. C’è un precedente, che l’autore richiama esplicitamente: Le figurine della Maremma (questa volta con la maiuscola), ideate e scritte nel 2001 da Piergiorgio Zotti e illustrate da Massimiliano Longo. Subito il lettore viene informato che si tratta di “una visione diversa (non migliore o più giusta) del territorio e sull’uso di strumenti di divulgazione totalmente differenti“.
Mauro Papa è figura nota in città per essere il direttore intelligente del Polo Museale delle Clarisse e per essere critico esperto delle arti visive. La differenza evidente delle figurine attuali da quelle del 2001 è di essere nate su Facebook, quindi on line e poi essere diventate cartacee. Quelle del 2001 nascevano cartacee. La differenza, però, è nella diversità del punto di vista, che è esplicitamente rivendicato: quello del 2001 era rivolto al passato, questo è rivolto al presente e al futuro e affonda le sue radici nell’associazione Grosseto Città Aperta, definito “un collettivo gassoso e instabile, perché sparpagliato in città e aperto alle contaminazioni, che ha l’ambizione di fare da detonatore alla voglia sulfurea di cambiare i connotati a questa nostra città“. Fra l’altro l’Associazione è diventata una lista civica per le elezioni amministrative di oggi per affermare tale volontà di rinnovamento e sicuramente nel panorama politico cittadino si presenta con un profilo innovativo, ma questo interessa limitatamente in questa sede. Interessa il punto di vista “diverso”, “in cui Grosseto e la maremma rinunciano alle strabiche invenzioni folcloriche per corrispondere a quello che sono: terra nuova, gente nuova e storie nuove“. Si tratta a mio avviso di una presa sul reale, che corregge il punto di vista vagamente post-modernista contenuto nella prima rivendicazione della ‘gassosità’ e della contaminazione. L’autore conclude radicalmente il processo, avviato dalle figurine del 2001, che definisce la maremmanità una “tradizione inventata“. Non vi è molto di selvaggio e primevo nella nostra terra sottratta alla palude dal lavoro umano e dalle vittime, che costò per portarla alla situazione attuale. Ciò che vediamo intorno è il frutto di una radicale antropizzazione del territorio. Possiamo parlare dei butteri e dei briganti, ma quella è un’epoca definitivamente chiusa e passata. La maremma, il suo capoluogo e soprattutto i suoi abitanti sono frutto delle migrazioni che si sono succedute in questo territorio, come in tutta Italia, ma da noi più radicalmente. Giustamente dice Mauro Papa, che rivendica nella figurina dedicata a Carlo Levi e a Lino Bonelli (la n. 36, “Partigiani e Amanti“) la propria origine meridionale: “Grosseto è città meticcia e non vuole ammetterlo: dopo l’esplosione demografica che in pochi decenni l’ha portata, per immigrazione, da 10.000 a 80.000 abitanti, la città “aperta al vento e ai forestieri’ di Bianciardi si è fermata e ripiegata su se stessa, compiacendosi di vecchie cartoline e smettendo di guardarsi, di guardare intorno e, sopratutto, di guardare avanti“.
Vi è in questo punto di vista l’emergere di quello che Francesco Orlando chiama “il ritorno del rimosso politico-sociale” (accanto a quello sessuale), cioè di un punto di vista politico, sociale e culturale misconosciuto nella vulgata corrente.
Se poi si guardano le singole cartoline, alcune molto belle nello stile narrativo, emerge anche un altro punto di vista. La parabola esistenziale di Luciano Bianciardi, emigrato a Milano e lì morto distrutto dall’alcol e dalla “fregatura della ricostruzione” post-bellica, ha fondato un’altra invenzione, cioè che per avere un punto di vista “alto” culturalmente occorre fuggire da Grosseto verso le grandi città, verso un altrove più degno. In realtà quello che poi avviene è anche il percorso inverso, c’è un’altra migrazione: dai grandi centri culturali verso la maremma. E non si tratta dei radical chic, con cui polemizza la retorica strapaesana della destra locale e non solo. Ai vip della zona sud della provincia non è dedicata alcuna figurina. L’autore cita esplicitamente due scrittori, David Leavitt, che per anni ha vissuto a Montemerano (di cui alla figurina n. 15) e Adam Pollock, i cui libri “parlano di maremma e che non sono neanche tradotti in italiano“. Nel libro troviamo ad esempio Andrea Camilleri, cittadino onorario di Santa Fiora, del cui incontro parla Stefano Adami nel suo “extra”, e Uliano Lucas (di cui alla figurina n. 24), che a suo tempo feci venire a Grosseto per un reportage sulla città e poi sul servizio di salute mentale. Entrambi i libri fotografici sono usciti per Effigi e la mostra fotografica La città Invisibile sui pazienti del servizio di salute mentale del 2014, allestita al museo archeologico, si può ancora vedere divisa in tre parti al terzo piano del Pizzetti, alla “palazzina” dell’U.O. di Psicologia e alla Casa dell’Auto-Mutuo-Aiuto in via Parini 7/b.
Dunque non solo ci sono stati i viaggi da Grosseto a Milano e verso tutto il mondo, che il libro ricorda, ma anche quelli da Milano e dal resto del mondo a Grosseto, anch’essi presenti nel libro. Ciò dimostra che “il mondo” può passare per Grosseto, se essa ritorna a essere davvero la città “aperta ai venti e ai forestieri“, e che la provincia – come sosteneva il Bianciardi de Il lavoro culturale (1957) – e oggi con termine più trendy le periferie possono essere il lievito per il cambiamento del mondo.
Giuseppe Corlito