Sergio Ortelli
Sindaco del Comune di Isola del Giglio
Una sera d’inverno particolarmente bella, che non si presenta come le altre solitamente tristi, ma fortemente illuminata dalla luna piena che rende perfino visibile un corridoio di luce su Montecristo, sul lato ovest dell’isola. La baia di Campese che si mostra dalla terrazza di casa appare particolarmente bella per i riflessi che brillano su un mare placido, quasi estivo. Quel venerdì sera Roberto, il figlio più piccolo del sindaco di Isola del Giglio Sergio Ortelli, sta ultimando i compiti assegnati e sta mostrando i primi segni di stanchezza, pur sapendo che il giorno dopo non andrà a scuola perché il sabato non ci sono le lezioni. «Anch’io temo di essere sfinito dopo una giornata trascorsa a dirimere questioni amministrative che da qualche giorno mi invadono il cervello. Non ho voglia neppure di guardare la tv perché Roberto mi ha chiesto di accompagnarlo a letto e rimanere con lui. Non ho voglia di lavorare, non ho voglia di approfondire le questioni di giornata, per cui lo accontento».
Sono le 22.15 e stranamente – non capita spesso – casa Ortelli è avvolta dal silenzio. È in quel momento preciso che squilla il telefono di servizio.
«Mi sveglio, il telefono si trovava nello studio ma quando arrivo smette di suonare. Non do molta importanza alla telefonata perché nel dormiveglia non mi rendo conto di chi sia. Torno a dormire ma senza neppure avere il tempo di riprendere sonno ecco che il telefono squilla nuovamente e da quel momento comincio a pensare che possa trattarsi di un’urgenza». È il comandante della Polizia Municipale, responsabile operativo della Protezione civile del comune Roberto Galli che informa il sindaco che c’è un’emergenza. Una nave della costa Crociere sta andando alla deriva perché ha colpito lo scoglio de Le Scole.
«Il tempo di capire cosa sia effettivamente successo e mi chiede di scendere immediatamente perché ancora non è chiaro cosa potrà accadere da lì a qualche minuto. In pochissimo tempo Ortelli è già alla guida della sua auto e dopo un paio di chilometri, scendendo verso il Porto, proprio all’altezza della curva di Radice (nel punto in cui si apre la vista sulla Punta del Lazzaretto), scorge la nave della Costa con la prua rivolta verso il Porto in una posizione tale che lascia supporre che ci siano dei problemi. «Da lì al Porto ci sono circa quattro chilometri ma non stacco mai gli occhi dalla nave nel tentativo vano di capire perché si possa trovare in quel punto e quali possano essere le ripercussioni senza nemmeno lontanamente immaginare che quell’immagine me la porterò dentro per sempre». Pochi secondi e arriva al Porto. Il tempo di abbandonare la macchina e di correre verso il il molo Rosso sul quale stanno già arrivando le prime scialuppe.
«La scena che mi si presenta mi fa pensare immediatamente che siamo di fronte a un’apocalisse. Una sequela di scialuppe, una dopo l’altra, accostano al molo e sbarcano centinaia e centinaia di persone tutte con giubbotto di colore giallo fosforescente. È lì che intuisco che deve essere stato dato l’abbandono nave». Arrivano le scialuppe una dopo l’altra e nell’accostare al molo sbattono violentemente tra loro, come le auto scontro di un luna park. Segno evidente che gli addetti alla conduzione sono in preda al panico e alle difficoltà del momento. Si vedono scene strazianti: persone anziane mezze nude o comunque con addosso indumenti da sera o da notte, sono completamente bagnati e si capisce che molti di loro non hanno avuto il tempo di prepararsi all’abbandono della nave. Ci sono anche molti bambini, qualcuno piange, i più hanno gli occhi spaesati.
«Cosa posso dire di più degli occhi spaesati dei bimbi. Che impressione! C’era tantissima gente che arrivava e si riversava sul molo. Era come se tutto il mondo fosse all’improvviso arrivato sul molo dell’Isola del Giglio. In quel momento diventa difficile riordinare le idee. Fai una riflessione e io l’ho fatta: e ora cosa cazzo faccio? Erano con me Mario, il vice sindaco, e tutti gli assessori Giovanni, Alessandro, Enrico. Ci rendiamo conto delle difficoltà di alcune scialuppe a sbarcare sul molo. Il tempo di un piccolo ragionamento e come responsabile della Protezione civile sento il dovere di prendere un provvedimento immediato».
La prima azione è quella di cercare tra la gente qualcuno che possa quantificare le dimensioni del fenomeno e sapere quante persone e quanti naufraghi sarebbero arrivati sull’isola.
«Cerco qualcuno dell’equipaggio e vedo finalmente una ragazza con una giacca blu con scritto Costa Crociere. La blocco nel tentativo di capire quante persone stavano arrivando dalla nave perché avevo capito che c’era in atto l’operazione di evacuazione di una nave che stava affondando. “Mi devi dire quante persone ci sono”; e lei mi risponde: “siamo più di quattromila”. In quel momento mi sento cadere il mondo addosso».
Di lì a poco si sarebbero riversate migliaia di persone su un budello di molo che non sarebbe stato in grado di accoglierle tutte. Da quel momento si mette in moto la macchina della solidarietà gigliese. Con l’aiuto di alcuni volontari e di molti gigliesi che nel frattempo sono arrivati al porto, il sindaco cerca di far defluire i naufraghi che arrivano verso il centro della piazza del Giglio Porto.
«Le diverse nazionalità dei naufraghi, gente proveniente da tutto il mondo, non mi permetteva di farmi capire, ad esempio in inglese, perché non tutti comprendevano il linguaggio. Ma riuscivo a gesticolare per far capire che sul molo non potevano rimanere. Molti di loro si portavano sulla parte superiore del molo perché, scampato il pericolo, riuscivano incredibilmente anche a farsi fare una foto con lo sfondo della nave che si stava inabissando. E anche a loro mi rivolgevo per cercare di rimuoverli da quella posizione e per far spazio agli altri naufraghi che stavano arrivando. Pensavo a quel muro, a quelle 4.200 persone che avrei dovuto accogliere, come avrei potuto accoglierle e soprattutto quali generi di conforto, coperte, acqua, bevande calde avrei potuto reperire per assisterli tutti».
Persone impaurite, in preda al panico con lo sguardo nel vuoto perché non sanno nemmeno dove si trovano: molti di loro pensano di trovarsi sulla terraferma e non su un’isola. Gente che sbarca scalza, in pigiama; altri in abito da sera e in frac.
«Capo, – così mi chiama Mario Pellegrini quando c’è necessità di fare squadra – c’è bisogno che io vada a bordo per coordinare i soccorsi mentre tu rimani a terra per organizzare tutta l’assistenza? Gli rispondo inconsciamente senza comprendere il rischio al quale si sarebbe esposto. Il suo senso di abnegazione è troppo forte e sarebbe stato difficile bloccarlo. Mi rivolgo all’assessore Rossi, Giovanni, persona di grandi capacità marinare e gli chiedo se non sia il caso, grazie alla sua abilità, di prendere in mano una di quelle scialuppe e aiutare i naufraghi ad arrivare al Giglio».
Giovanni non esita un attimo e, grazie all’aiuto di molti gigliesi, accorsi in massa per le strade e al porto, la situazione assume un carattere di “normalità”.
«Nonostante l’evento ciclopico avevo incredibilmente mantenuto una certa lucidità».
Era ovvio che dal sindaco tutti si attendessero le risposte necessarie per risolvere nell’immediato una situazione drammatica. I pensieri si sono susseguiti con un ritmo infernale.
«Ho pensato alle strutture che potessero contenere un gran numero di persone. Ho pensato alle chiese, alle scuole, ho pensato agli asili, agli alberghi. I gigliesi hanno pensato ad aprire le loro case. Ho pensato a quel piano della protezione civile che ad agosto avevamo aggiornato e approvato in consiglio comunale. Mi ricordavo delle zone di riunione, delle scuole comunali, ma passare dal lato teorico a quello pratico non era così semplice».
Con l’aiuto di molti cittadini partono le prime telefonate a don Lorenzo e don Vittorio – i due parroci del Porto e del Castello – per aprire le chiese. Proseguono poi le telefonate per aprire le scuole materne, quelle agli operai del Comune. Si chiede al fornaio di fare il pane caldo. Ma non basta. La gente è tanta e aleggia la sensazione che il grande sforzo possa non essere sufficiente. I gigliesi chiedono: “sindaco che dobbiamo fare?” e la risposta più ovvia è “aprite le case, date accoglienza a più gente possibile”. Molte persone ospitano anche trenta naufraghi, che lasciano in case con bevande calde, vestiti, coperte e tornano al Porto per continuare ad aiutare.
«Ho pensato che ospitare tutta questa gente all’interno delle strutture non fosse sufficiente perché servivano generi di primo conforto e allora ho chiesto al distributore più importante dell’isola di portare nelle strutture casse intere di acqua da bere e di bibite. Ho chiesto al bar che effettua servizio d’inverno di aprire immediatamente e di fornire ogni necessità ai naufraghi». Ma non basta. Giglio Porto non è in grado di recepire tutta quella massa di persone e quindi si ritiene indispensabile spostare molti di loro a Giglio Castello e Giglio Campese e per far questo «ho preso contatto con il presidente della società che gestisce il trasporto pubblico locale per allertare gli autobus e provvedere al trasporto dei naufraghi nelle altre frazioni. In pochi minuti siamo riusciti a compiere quel miracolo che non avremmo mai pensato di poter mettere in atto.
In quel momento non pensi più a niente, ai tuoi interessi, nemmeno a dove ti trovi, ma pensi solamente che devi salvare delle persone e soprattutto al ruolo che ricopri».
Anche l’ufficio del sindaco Ortelli, al Porto, diventa in un attimo luogo di accoglienza dove trovano rifugio circa trenta persone. Al suo interno ci sono coperte e sovracoperte in grado di riscaldare, come pure i lettini per restituire ai bambini un minimo di normalità.
«C’era un pensiero che mi ossessionava. E cioè che in tutta questa situazione potessero esserci dei feriti». Purtroppo la realtà ha superato ancora una volta l’immaginazione. In via precauzionale il sindaco aveva allertato il 118 e aveva chiesto loro di mandare medici aggiuntivi oltre a quelli che normalmente stazionano sull’isola. Viene dato ordine alla farmacia di riaprire per mettere a disposizione gratuitamente tutti i medicinali di cui necessitano i naufraghi. Sul pontile arriva il primo cadavere.
«Qualcosa che non mi sarei mai immaginato perché in quei frangenti stavamo facendo di tutto per salvare le persone. Il corpo è stato portato sul pontile centrale del porto che era diventato il punto di attracco e il punto di prima assistenza perché avevamo fatto concentrare in quel luogo l’ambulanza e i medici. Purtroppo quel cadavere, un anziano morto probabilmente assiderato dopo essersi gettato in mare, mi lasciava pensare che in breve tempo il bilancio delle vittime sarebbe stato drammaticamente più consistente. È arrivato poi il secondo cadavere, morto quasi certamente nello stesso modo, e poi ne è arrivato un terzo a bordo della Motovedetta della Guardia di Finanza. Quella che auspicavo potesse essere una soluzione definitiva per i naufraghi stava cominciando a diventare una vicenda dolorosa di cui non conoscevamo le dimensioni. Ogni cosa che accadeva lasciava presupporre che tutto si stesse complicando in un crescendo quasi surreale dove la parola fine sembrava lontanissima».
Intanto sul promontorio della Gabbianara da lontano si scorgono centinaia di piccole luci. Sono le luci dei giubbotti di salvataggio che indicano che molti dei naufraghi, forse a nuoto, hanno guadagnato terra in attesa che qualcuno arrivi a prenderli.
«Sembravano delle lucciole quelle luci e solo il pensiero che potessero essere delle persone da salvare mi metteva un certo sconforto e una certa preoccupazione. Ho chiamato immediatamente la polizia municipale e chiesto loro di andare a recuperarli con un pullman. Dopo l’operazione di recupero il comandante Galli mi ha detto che tra quelle persone c’era anche il comandante della nave al quale aveva fatto l’invito non solo di tornare sulla nave ma anche di poter venire con lui a Giglio Porto».
L’abbandono della nave sta giungendo al termine e il problema diventa minuto dopo minuto quello di far evacuare l’isola il prima possibile.
«Purtroppo molte persone non avevano coscienza di dove si trovassero per cui abbiamo dovuto comunicare a molti di loro che per tornare a casa dovevano riprendere la nave. Voleva dire aggiungere dolore e paura ad altro dolore e paura. Fin dai primi momenti sono stato in stretto contatto telefonico con la Prefettura di Grosseto, con i Prefetto Linardi e con il presidente della Provincia Marras. Il contatto telefonico con Costa Crociere mi pone davanti a un altro dilemma. La conta delle persone salvate e dei dispersi. Mi viene inviato l’elenco delle persone a bordo via email, lo faccio stampare e distribuire alle persone incaricate da Costa che si trovavano sulla nave con lo scopo di riuscire a fare un elenco, improbabile delle persone presenti sull’isola».
Gli attimi successivi sono quelli della definizione di una strategia comune con la Prefettura di Grosseto e di un piccolo briefing operativo con il referente dei traghetti, il comandante della Polizia municipale e gli assessori. In pochi minuti arriva una decisione: «Dopo l’accoglienza e il primo conforto, considerato che l’isola non è in grado di fare oltre, decidiamo il trasferimento nelle prime ore della mattina di tutti i naufraghi verso il Continente, da cui alcuni di loro sarebbero stati in grado di tornare a casa». Il primo traghetto ha lasciato il Giglio alle 3.50.
tratto da Quella notte al Giglio. Il dramma della Concordia
di Cristiano Pellegrini