La temperante e famiglia

La vicenda più lineare, e anche più stabile, è stata senza dubbio quella di Maristella, la nostra ineffabile e compostissima biscugina.
La natura l’ha dotata di un fisico minuto, ma particolarmente aggraziato, capelli castani ondulati e brillanti, lineamenti regolari ed un profilo caratterizzato da un naso leggermente all’insù che le ha sempre conferito un’aria spiritosa e simpatica, forse un po’ più di quanto lo sia in realtà.
Lei e Desdemona hanno cominciato a truccarsi prestissimo, a studiare l’abbigliamento più adatto per ogni occasione, ma soprattutto per le feste, le famose feste in casa o più di rado nei locali, dove era più facile entrare in contatto con ragazzi che non fossero solo compagni di scuola ed imbastire possibilmente delle storie.
Piaceva a tutti la mia deliziosa parente.
Era sorridente, disinvolta e sicura. Oltre che molto brava a scuola. Ma questa era una caratteristica di famiglia, dicevano le nostre madri, un carattere dominante in linea femminile.
Ma la cosa bella di Maristella, quasi stupefacente, era la grande organizzazione che la portava a essere perfetta nello studio, nella ginnastica artistica, di cui era campionessa provinciale, ma anche nell’abbigliarsi e nel curare la sua persona.
Fin dai giorni delle medie, aveva avuto in mente esattamente tre obiettivi: diventare insegnante di lettere, contrarre un matrimonio ragionevole e duraturo (con figli) ed aver cura del proprio corpo.
Per questo era studiosa, sportiva, ordinata. Ma, soprattutto, era attenta a scartare dal suo orizzonte maschi poco affidabili o troppo fantasiosi o senza un solido avvenire.
Praticamente l’opposto di Desdemona che era abbastanza aspecifica nelle sue scelte sentimentali, ma anche così rapida nel passare da una vicenda all’altra che era difficile valutare quali fossero realmente le sue preferenze.
Le due battibeccavano spesso per la diversa impostazione ed anche per la competizione su chi fosse più attraente. In realtà non c’era risposta a questo quesito. Desdemona è alta, longilinea e con lineamenti marcati ma regolari. I lunghi capelli scuri, lisci, insieme alle braccia magre e all’andatura lievemente ondeggiante, le davano in gioventù un’aria alternativa che lei accentuava con abbigliamento falsamente casual, camicioni, jeans, collane colorate.
Ma il fatto più curioso è che, nonostante il conflitto perenne (o forse, chissà, per questo), fu proprio lei il tramite attraverso cui Maristella conobbe il suo futuro marito.
Accadde infatti che la mia intraprendente sorella, nell’estate dei suoi diciotto anni, entrasse in una compagnia in cui erano presenti anche universitari. Lei, così sveglia, disinvolta, pronta nelle battute e nelle risposte, furoreggiava nei suoi ridotti bikini, in spiaggia, o nelle serate dei falò, delle canzoni di De Andrè e dei bagni di mezzanotte. I belli e impossibili della compagnia erano i fratelli Della Creta, alti e slanciati, uno studente di medicina, l’altro di ingegneria elettronica. Con quest’ultimo, Michele, detto in seguito l’Arcangelo (e vedremo poi perchè), ci fu da subito reciproca antipatia. Ad entrambi infatti piaceva primeggiare. Diciamo che il loro ego smisurato, sommandosi, superava il cento e quindi, qualunque relazione tra i due, anche solo di amicizia, si dimostrò impossibile dal primo istante. Il fratello Leopoldo, minore di un anno, pur essendo fisicamente piuttosto simile, aveva un carattere più dolce e gentile e, avendo trascorso la vita con l’egotico Michele, fu subito attratto dalla mia esplosiva sorella. La quale lo trovava noioso e consueto.
“Ma ti immagini, Giulietta, cosa sarebbe stare con uno così? La morte civile”.
Io avevo appena quattordici anni e un terribile eritema solare, per cui le sue parole mi arrivavano piuttosto attenuate in un torrido pomeriggio di luglio, a causa della sonnolenza da antistaminici.
Ma lei era implacabile. Continuava a parlarmi nonostante fosse responsabile del mio colpo di sole, preso per fare da chaperon a lei e al suo incauto innamorato.
Incauto, dico, perché, in quell’estate del ’75, subì dalla Terribile ogni tipo di umiliazione: appuntamenti mancati, essere mollato durante un ballo guancia a guancia per continuare con il vicino di tavolo; lasciato solo e nudo durante un bagno di mezzanotte. Non solo. In quest’ultima occasione, la Splendida, gli aveva anche portato via i vestiti dalla spiaggia, lasciandogli solo le chiavi della macchina, tanto che il poverino era tornato a casa in costume da bagno, infreddolito e umiliato.
In tutto il periodo, inoltre, aveva ottenuto un solo bacio (non perché lei fosse in genere restìa, anzi…), dato una notte di luna piena. Il giorno dopo, lei, di fronte a tutta la compagnia, aveva dichiarato che la sera prima, avendo un po’ bevuto, le aveva fatto effetto la luna ed avrebbe baciato chiunque, anche un rospo, aggiungendo che forse in quel caso sarebbe andata meglio : magari diventava principe…
Il povero Leopoldo, dileggiato dagli amici e dal fratello, arrivò a settembre veramente stremato.
Ora doveva tornare a Siena per gli studi (era al quarto anno) e l’estate con Desdemona era stata peggio delle fatiche d’Ercole. Ma piuttosto direi di Sisifo, dato il nulla assoluto che ne aveva ottenuto.
Però, due occhi attenti e previdenti avevano osservato l’estate delle beffe, come ormai tutti in famiglia la chiamavamo. Lo sguardo sedicenne, ma assai avveduto della nostra biscugina, aveva colto nel malcapitato quelle doti che lei cercava per un futuro di certezze: serietà, sincerità, perseveranza. Oltre al fatto, non da poco, che il giovane era di ottima famiglia, capace e studioso.
Sarebbe diventato un medico, sicuramente. Ed era inoltre di bell’aspetto, cosicché i geni da trasmettere alla progenie sarebbero stati senz’altro di prima qualità.
Può sembrare impossibile che un’adolescente fosse capace di tanta accuratezza di pensiero. Ma Maristella lo era, fin dall’infanzia, precisa e programmata, i suoi compiti erano “senza sbaffi d’inchiostro”.
E così tutto il resto.
A fine settembre, quando il giovane aveva cominciato a stufarsi del trattamento d’urto che gli era stato riservato, lei (insieme a me che continuavo a fare da accompagnatrice) aveva cominciato a parlare con lui, a mostrarsi seduttiva, ma affidabile, femminile, ma razionale. Durante l’autunno, avevano continuato a vedersi nei fine settimana, per qualche tempo insieme a me: andavamo al cinema, al luna park, al tennis a guardarlo giocare col fratello. Quest’ultima faccenda era per me una vera tortura. Odiavo ogni genere di sport e stare lì a guardare i due nello svolgimento delle loro performances mi avviliva oltremodo. Ricordo quelle mattine di domenica, con Maristella entusiasta e cinguettante al fianco, mentre io non riuscivo a vedere altro che una pallina che faceva sock-arco–sock.
Questo era ciò che percepivo. O, al massimo, se la pallina cadeva sock-arco-bomp—sock-arco-sock.
Per fortuna, verso novembre, cominciarono a uscire da soli ed io fui affrancata da quell’incombenza pesante.
Desdemona, intanto, aveva preso altri lidi sentimentali, ma ciò non le impediva di commentare malignamente la strategia di Maristella che, lei sosteneva, aveva raccolto i suoi avanzi.
“Ma dai – le dicevo io che non ne potevo più di tutti e tre – lasciala fare. A lei piace”.
E lei acida: “tutti i gusti sono gusti – disse quello che succhiava un chiodo rugginoso”.
Insomma, tra tennis e luna park, tombole di Natale e ballo di San Silvestro, le cose andarono avanti e il 7 gennaio, diciassettesimo compleanno di Maristella, quest’ultima annunciò a tutti noi (compreso mio padre che era ormai nauseato dai nostri discorsi “da femmine”) che lei e Leopoldo si erano messi insieme.
Desdemona stava per dire qualche malignità, ma si astenne perché le davo potenti pedate sotto il tavolo e le avevo promesso che, se avesse detto cose sconvenienti, io avrei raccontato alla mamma faccende MOLTO più sconvenienti su di lei (che nel frattempo aveva iniziato a frequentare un suo professore supplente ventottenne con cui la vicenda era piuttosto scabrosa…).
Comunque, Leopoldo e Maristella hanno avuto un lungo fidanzamento, si sono laureati, hanno trovato lavoro entrambi e si sono sposati. Perfetto. Hanno due figli, Eleonora e Matteo, belli e bravi. Vivono in una grande casa luminosa, lui è pediatra di libera scelta e lei professoressa di latino e greco nello stesso liceo dove abbiamo studiato e nel quale io insegno filosofia.
Un po’ diversa, invece, è stata la storia dell’egocentrico Michele. Anche lui brillante e di bell’aspetto, dopo la laurea, ha lavorato per qualche anno a Milano da dove ha riportato due cose: 1) l’esperienza lavorativa che gli ha consentito di diventare il più preparato consulente informatico della zona e mettere su uno studio di grande prestigio. 2) una moglie molto avvenente, fisicamente, una specie di Marylin Monroe, dalle grandi tette, la vita sottile, occhi neri a cerbiatto e capelli ossigenati. Tutto questo unito a un modo di vestire piuttosto appariscente, ha lasciato interdetti tutti quelli che avevano conosciuto il rigido Michele, piuttosto moralista e inquadrato, in tempi precedenti.
Le chiacchiere si sprecavano. Desdemona diceva che il giovane rampante, non avendo tempo da perdere in corteggiamenti, si era sposato con la prima che gli era capitata, totalmente soprappensiero.
Leopoldo non diceva niente, si limitava ad ascoltare allibito la cognata quando parlava dei suoi pochi argomenti: gli abiti firmati, i massaggi, lo shopping (che poi nella nostra città non era possibile farlo, tanto erano pochi i negozi e lei doveva tornare per forza a Milano se voleva fare davvero acquisti che avessero un senso). E così via…
Maristella tentava gentilmente di coinvolgerla in qualche cena o altre iniziative. Aveva anche cercato di portarla al cinema, ma lei si annoiava e un paio di volte si era anche addormentata.
Michele non tornava mai a pranzo e si incontravano a volte la sera per consumare una frugale cena preparata dalla colf o andare al ristorante. Molte volte non si incontravano proprio perché lei usciva con le amiche (incredibilmente, in poco tempo, aveva stretto amicizia con un buon numero di svalvolate). Figli non ne venivano. “Certo – commentava Desdemona – non si incontrano mai. Quando dovrebbero concepirli?”.
Erano così trascorsi diversi anni, in cui frequentare la coppia era diventato sempre più difficile, sia per la mancanza di argomenti sia per la mancanza del tempo utile per vederli entrambi.
Michele, sempre più preso dal lavoro, era a volte fuori città anche per settimane, mentre Wanda, non sapendo come impiegare le lunghe giornate, aveva cominciato a frequentare un corso di judo.
Una domenica mattina di gennaio (sei anni erano trascorsi dal loro matrimonio) Michele, senza preavviso, si presentò alle sette a casa del fratello.
Maristella, quando sentì suonare il campanello, pensò che fossero i Testimoni di Geova e si girò nel letto. Ma, dopo un po’, dato che il suono insisteva, Leopoldo si alzò dicendo: “ora gliene dico quattro a questi. Ma ti pare che la domenica mattina…”. Le parole gli si bloccarono quando, affacciandosi alla finestra che dava sull’ingresso, vide il fratello, intirizzito, quasi tremante.
Gli aprì e lo fece entrare. Si alzò anche Maristella che cominciò a preparare il caffè. Seduti in cucina, i due fratelli, uno in pigiama e l’altro vestito in maniera casuale, come se avesse preso le prime cose che uscivano dall’armadio, barba lunga, occhi stralunati. “Michele. Cosa è successo?”.
Maristella guardava alternativamente marito e cognato. Guardava il maglione giallo di quest’ultimo sopra ai pantaloni di una vecchia tuta da ginnastica. Guardava il giaccone messo sulle spalle come una vestaglia. L’imperturbabile Michele tremava, sembrava quasi che stesse per piangere.
Si sedette anche lei. Stavano così, tutti e tre, intorno al tavolo. La piccola Eleonora intanto si era alzata ed aveva acceso la televisione. Matteo dormiva.
“Zio Michele” disse la bambina “sei brutto stamani” e si rimise a guardare i cartoni.
Michele abbozzò un sorriso, guardò il fratello e la cognata e poi disse: “Wanda mi ha lasciato”.
“Ah – esordì Maristella trattenendosi a stento dal dire “finalmente!”.
“Michele – aggiunse il fratello – forse non eravate fatti l’uno per l’altra, per te può essere un nuovo inizio”.
Silenzio. Due minuti di silenzio. Lunghissimi. “Il fatto è che non è andata via da sola”.
– Certo – pensava Maristella – è un tipo sveglio, avrà catturato un altro pollo.
Ma né lei né suo marito trovavano qualcosa di sensato da dire.
Stallattiti di silenzio. Leopoldo cercava di raccogliere idee e parole, ma non arrivavano né le une né le altre. Maristella cominciò a versare il caffè nelle tazzine, sentendo l’inutilità del gesto, ma non sapeva cosa altro fare. Tanto meno dire. Fu Michele a parlare: “Si è messa con l’istruttrice di judo, sapete, Miranda, quella alta con i capelli corti e i lineamenti spigolosi… Wanda ha detto che il nostro matrimonio l’ha nauseata e le ha fatto scoprire che le piacciono le donne”.
“Ah” Leopoldo.
“Ah, eh” Maristella.
“Lei, però, vuole rimanere a casa nostra oppure che le cerchi una casa e la mantenga. Ha detto che ha diritto al tenore di vita che aveva durante il matrimonio”. “Caspita!” esclamò Leopoldo.
Eleonora si girò: “Zio Michele, vieni a stare con noi?”.
“Vai in camera tua!” intimò Leopoldo.
“Perchè? Io sono contenta se lo zio viene a stare qui”.
Lo zio, in realtà, rimase a casa sua, ma andò incontro ad una separazione sanguinosa in cui l’avvocato della moglie lo fece apparire come un mostro che aveva trascurato questa giovane fragile e semplice; l’aveva condotta in lunghi viaggi dove lei non capiva una parola non conoscendo altra lingua che il milanese semplificato; la famiglia di lui l’aveva emarginata; il marito non aveva assolto i suoi doveri coniugali per lunghi periodi… E così via. La sentenza del tribunale stabilì per Wanda cospicui alimenti: l’essere trascurata dal coniuge l’aveva resa fragile e bisognosa di attenzione e comprensione che aveva trovato in Miranda. Il trauma subito per la crudeltà mentale del marito non era cosa da poco, secondo l’avvocato che, con grande arte oratoria, riuscì a convincere anche il giudice.
Quindi: affitto di casa + alimenti + una somma a titolo di liquidazione per il lavoro domestico da lei svolto durante gli anni di matrimonio.
Il povero Michele divenne un’ombra. Lavorava, tornava a casa, a volte andava a cena dal fratello e non sapevano che dire.
I mesi passavano e, piano piano, pur con fatica, Michele riprese un aspetto normale.
Fu allora che Maristella, nel suo voler mettere tutto in ordine, concepì l’idea di trovare una nuova compagna al cognato.
Prima di tutto guardò in famiglia. Prese in esame Desdemona (giusto allora liberatasi dal portaborse) e la scartò subito, dato che, come abbiamo detto, l’ego dei due era troppo grande e non c’era spazio per entrambi neppure per una sera, figuriamoci per una relazione. Poi pensò a Martina. Ma era fidanzata. E l’anno prossimo si sarebbe sposata. Anzi, era proprio l’ora. Aveva già trent’anni.
Per ultima, prese in considerazione me e decise che con Michele avrebbe potuto funzionare.
“Ma tu sei pazza. Proprio non c’è niente che mi attrae e poi non ho proprio voglia di legarmi, ora…”.
“E quando mai l’hai avuta? Ma lo sai che hai già trentadue anni? E non hai mai avuto un fidanzato.”
“Non mi interessa”.
Caparbiamente e con scarso rispetto per la mia opinione, Maristella organizzò varie cene e festicciole per far frequentare me e Michele. Ma non scattò mai nulla. Io lo trovavo pedante e lui penso mi ritenesse insulsa. E poi ero sicuramente fuori dai suoi canoni visto la mogliettina che aveva scelto.
Dopo un paio di mesi di questi numeri, mia cugina si arrese e decise che io ero un caso clinico, che andava a cena con la gonna al ginocchio e il twin set con cui mi recavo a scuola. E suo cognato poi… Aveva quarant’anni. Che si arrangiasse.
(Continua)

Fulvia Perillo

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