La lettera d’amore dell’autrice Carla Bardelli dedicata all’opera di Ugo Capocchini “Donna con la rosa”, scritta per l’iniziativa “M’ama non m’ama. Lettere d’amore alle opere d’arte nelle collezioni dei musei della Fondazione Musei Senesi”. Il testo si trova all’interno del libro curato da Elisa Bruttini che è possibile trovare in tutte le librerie di Siena.
Conosco quasi tutte le opere di Romano Bilenchi e non dirò perché. Non è necessario. Dico solo che le qualità dello scrittore che più apprezzo sono la pacatezza del tono del suo raccontare e la forza espressionistica delle immagini che bucano la pagina producendo effetti improvvisi di straniamento. Ma sono solo due delle tante.
Dopo anni, casualmente, torno a occuparmi di lui. Un quadro di Ugo Capocchini, Donna con la rosa, mi intriga. Fa parte della collezione privata dello scrittore. Ed è singolare come ne sia venuto in possesso. Il pittore voleva distruggere il ritratto di Clara e lui decide di prendersene cura come fosse un cucciolo abbandonato su una strada trafficata. Non avrebbe potuto fare altrimenti: amava ogni forma d’arte, amava la pittura. Amava i suoi amici pittori. Non ne ha mai fatto mistero. D’altra parte i libri non stanno mai soli, dialogano con l’arte, il cinema, il teatro, la musica.
Questo è sufficiente, vero Romano? Il potere di un’opera di piantarsi nella memoria funziona anche così, per interposta persona. Tu lo sapevi. E lo sapevi così tanto da dedicargli un tuo racconto: La rosa non finita. Perché quel quadro, salvato in extremis, ti era più caro di altri.
Guardo la tela: quella donna ritratta a mezzo busto da Capocchini è la sua modella e amante. La immagino alta, magra, con una gonna appena sotto le ginocchia, i tacchi alti. Sul viso splende una lievissima luce, forse preludio a una certa eccitazione o a una certa attesa di felicità. Ma è solo una prima impressione. A fare da sfondo è un grigio plumbeo, lo stesso che in alcuni pomeriggi si sostituisce al pallore delle crete rendendole minacciose. Tu le conoscevi bene.
Sulle labbra una pennellata di rosso (il colore del tradimento) spicca sotto i capelli corvini. Rigorosamente vestita di nero, una camicetta appena ornata da un colletto bianco, a sottolineare la gravità del gesto. Tiene in mano una rosa; la tiene all’altezza del petto. È una rosa biancastra. Il colore del silenzio, del nulla, il colore della separazione degli uomini. Ma la rosa è da completare, è una rosa non finita. Perché? Perché Clara sparisce da un giorno all’altro. La cercano in molti e nessuno la trova. Sparisce dopo un inciampo, una colpa, una condanna. Sparire è la vendetta ideale di una persona teoricamente impotente su una che si presume potente. Il suo broncio appena accennato è una cortina invalicabile.
Con così tanti elementi a diposizione mi riesce impossibile non vedere contemporaneamente Clara e Alba, nata dalla tua penna anni dopo. Una delle protagoniste del racconto Il gelo. Il racconto della disarmonia del vivere adulto, dove il male può rivelarsi all’improvviso, senza una vera ragione. Alba così simile a Clara. Anche lei con i capelli corvini, bella e spregiudicata. Anche lei messa al bando da una comunità egoista e pettegola che esige un prezzo troppo alto da pagare per lasciare che il desiderio si esplichi. Loro due tenute insieme dalle pennellate cromatiche di Capocchini che per te sono i colori dei sentimenti, quegli stessi che nella tua poetica sostituiscono spesso le parole perché, a differenza di queste, non si sovrappongono ai fatti.
I colori che avevi ereditato dai tuoi amici pittori: Rosai, Signorini, Maccari, Caproni, Faraoni, Capocchini e tanti altri.Carla Bardelli