TITOLO:
I Corsari e la Maremma
AUTORE:
Massimo De Benetti
Piergiorgio Zotti
FORMATO: brossura
PAGINE: 170
EDITORE: Effigi
COLLANA: Microcosmi
ISBN: 978 88 6433 054 9
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2010
PRODUZIONE: C&P Adver di Mario Papalini
PREZZO: euro 18.00
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Piergiorgio Zotti è il coordinatore dell’Archivio delle tradizioni popolari della Maremma grossetana. I suoi interessi non si limitano allo studio del folklore, ma si estendono all’arte, alla storia ed alla storia delle religioni, alla letteratura. Ha pubblicato alcune raccolte di poesie. E’ stato, insieme a Gregorio Rossi, amico fraterno e collaboratore di Roberto Ferretti.
Quello che segue è il filmato dell’intervista fatta l’11 aprile 2011. Si parla del volume I corsari e la Maremma di cui qui si può leggere una presentazione ( 🙂 lettura consigliata) e di cui Piergiorgio Zotti è uno degli autori. Vengono toccati molti argomenti come l’invenzione della tradizione, le incursioni corsare in Maremma, l’isola del Giglio, l’Impero Ottomano, lo stato di salute degli studi storici e tradizionali in Maremma e molto altro.
Il filmato è seguito dalla versione testuale della stessa intervista.
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Credo sia interessante parlare di un concetto a prima vista contraddittorio come quello di “invenzione della tradizione” rispetto al libro I Corsari e la Maremma. In questo libro si raccontano vicende storiche effettivamente verificatesi e altre a metà fra la leggenda e la storia. Ma come fa un’invenzione, un episodio di fantasia, a radicarsi nella memoria di un territorio come se si trattasse di sapere tradizionale? Come si articola un percorso narrativo di invenzione della tradizione?
Mi vengono in mente due esempi: uno tratto dal libro che ha reso famosa questa espressione, il suo autore è uno storico inglese; l’altro da un vecchio telefilm che vidi non troppo tempo fa in televisione. Parto da quest’ultimo.
Era stata ritrovata una bellissima perla, una perla straordinaria, grandissima. Però questa perla aveva una leggera imperfezione per cui decisero di farla pulire prima di darla al compratore che era un mercante importante.
La portarono da un bravissimo pulitore il quale iniziò la sua opera, ma più andava avanti più si rendeva conto che l’imperfezione rimaneva. Alla fine la pietra si sbriciolò, e non ne rimase più niente.
Allora: la tradizione sono le cornamuse che suonano ai funerali dei poliziotti americani. In ogni film nordamericano nel quale si racconti del funerale di un poliziotto ci sono le cornamuse che suonano. Lo storico inglese dimostra che la cornamusa, il kilt e tutto quello che a noi fa pensare alla Scozia è un’invenzione.
Ma lo stupore è semplicemente il suo, dello storico. La tradizione sa benissimo che prima o poi c’è stato un inizio. E dietro all’inizio c’è un altro inizio. E dietro all’altro inizio c’è un residuo di un’epoca precedente, e così via… La tradizione ha il potere di essere efficiente, non di essere vera. Cioè: la tradizione è efficiente anche quando unisce il vero e il falso. Se sei al cinema e ti viene la pelle d’oca al funerale di un poliziotto americano perché senti la cornamusa, vuol dire che la tradizione funziona.
Un’impostazione come questa in che modo si coniuga o viene declinata attraverso un titolo come I Corsari e la Maremma?
Questa impostazione non si declina con I corsari e la Maremma in quanto tale, ma attraverso storie come quella della bella Marsilia, come quella che riguarda l’isola immaginaria di Zanera, o l’isola di Montecristo. Il corsaro in Maremma è un dato storico talmente potente, talmente acclarato che magari potrebbe essere usato per contestare la contemporaneità.
Ovvero: quando a Porto Ercole fanno la festa dei pirati e i pirati sono quelli dei Caraibi la cosa fa un po’ impressione perché è come se l’oblio avesse cancellato tutto e avesse sostituito una cosa vera con una cosa simulata. I nostri pirati non avevano il pappagallo sulla spalla, sicuramente.
Nel libro si racconta la vicenda storica di Bartolomeo Peretti del quale si ignora praticamente tutto: perfino i residenti non lo hanno neanche sentito nominare e invece si tratta di una storia vera e memorabile.
Questo è, secondo me, un grande patrimonio e un grande divertimento perché non si tratta di piangersi addosso e di dire: «Ma quante cose sono state dimenticate, o non sono state capite o studiate!»
E’ un ulteriore serbatoio di grandi cose che la Maremma conserva. Un Bartolomeo Peretti in qualsiasi altra parte del Mediterraneo avrebbe avuto un monumento, avrebbe avuto una piccola lapide, avrebbe avuto la sua vicenda scritta sui libri di storia. Invece: niente di tutto questo.
Ma questo niente per noi è molto fertile perché di questo niente, ti assicuro, le storie della Maremma sono piene. Escluso il mondo etrusco-romano dove le scoperte sono più che altro archeologiche (anche nell’analisi delle fonti) il periodo medievale e moderno è una miniera di cose interessanti anche per il pubblico non specialistico.
Ti faccio un esempio sulla contemporaneità: pensa a tutta l’epica che è stata costruita sulla storia della ferrovia che attraversa gli Stati Uniti d’America. La si ritrova nei romanzi contemporanei, in Sergio Leone e in tutte le storie che narrano della conquista del west anche attraverso la costruzione della ferrovia.
Quando Ricasoli andò da Cavour per dire che era necessario fare un collegamento per la ferrovia tirrenica questi gli rispose che ci sarebbero voluti cento anni e che lui era contrario. Andò a finire che Ricasoli la fece in sette anni nei quali la ferrovia attraversò la Toscana, il Lazio e arrivò a Roma. Si collegarono Torino e Genova con Roma.
Si tratta di un’immensa epopea: probabilmente morirono persone, furono usate tecnologie di cui si sa poco, probabilmente fu usata la dinamite… E’ un mondo assolutamente straordinario di cui non si sa assolutamente niente. C’è qualche fotografia e poco più. Ovviamente ci saranno i libri degli specialisti, tecnici, dove c’è tutto. Ma in questi libri specialistici non si troverà il dato epico che a noi sfugge, ed è successo ieri. Allo stesso modo ci sfugge Bartolomeo Peretti.
D’altra parte si dà spesso il caso di eventi storici sovraccaricati di un significato attribuito a posteriori che, magari, è più che altro il frutto di una propaganda interessata. La battaglia di Lepanto è uno di questi casi: la sua narrazione è servita moltissimo all’occidente cristiano per asserirsi ideologicamente sull’oriente musulmano.
Sì, ma la stessa cosa era già successa con la battaglia di Poitiers quando Carlo Martello fermò gli arabi. Anche quell’episodio è stato potenziato e depotenziato, ma si tratta solo di date simboliche. Le vicende storiche vengono usate in chiave simbolica. Poi quello che successe davvero è un’altra cosa.
Sono in pochi a sapere che la battaglia di Lepanto è un episodio che fa parte della guerra per Cipro, elemento di contesa fra la compagine ottomana e la Cristianità mediterranea. Cipro fu persa. Tanto che il gran visir Mehmet pascià Sokollu ebbe a dire che con la battaglia di Lepanto al sultano era stata tagliata la barba (la flotta navale ottomana fu infatti distrutta) che però sarebbe ricresciuta più folta di prima; a Venezia invece era stato amputato un braccio (l’isola di Cipro passò sotto l’amministrazione ottomana) e quello non sarebbe mai più ricresciuto.
Rimangono comunque punti simbolici. Un altro esempio può essere l’assedio di Vienna: gli Ottomani tentano di conquistare Vienna ma vengono fermati. Sono come nodi che vengono stretti nei libri di storia. Del resto una narrazione turca rispetto a queste vicende finora non c’è stata. Penso che la storiografia contemporanea interroghi queste questioni per poi interpretarle in un’ottica mediterranea, cioè non più di contrapposizione, non più in quanto scontro di civiltà.
A questo proposito forse il caso di tornare indietro di alcuni secoli con Federico II, l’imperatore svevo che soggiornò anche a Grosseto, autore del famosissimo trattato di falconeria De Arte Venandi cum Avibus. E’ lui che fa una crociata, si accorda con il nemico e per questo viene criticato etc… E’ uno dei grandi imperatori alla cui corte nacque in qualche modo la poesia italiana.
Ad un certo punto della sua vita gli accade di dormire a Gerusalemme. La mattina seguente un alto funzionario lo va a svegliare e lui gli chiede: «Perché non ho sentito il richiamo alla preghiera del muezzin?» E il funzionario gli risponde: «Non lo ha sentito perché glielo abbiamo impedito per non disturbare il sonno di vostra signoria». Federico II rispose: «Peccato! Ho dormito a Gerusalemme proprio per sentire il richiamo mattutino alla preghiera».
Questo è un dato che ci viene dagli storici arabi delle crociate. Sono loro ad averci raccontato questo episodio il che significa un’ottica totalmente diversa rispetto a quella alla quale siamo abituati. Questi mondi illuminati, chiamiamoli così, ci furono. La grandezza dell’emirato di Cordoba, di Granada, la grande cultura mozarabica… non c’è stato solo scontro.
Si trattava di due culture sullo stesso
piano anche da un punto di vista tecnologico?
La cosa potrebbe essere approfondita sul piano militare, ambito nel quale le nozioni sono molto precise perché la battaglia di Lepanto è stata studiata e ristudiata: come funzionavano le galeazze veneziane, se il tiro dei cannoni fosse o meno all’altezza del pelo dell’acqua, se l’arrembaggio fosse o meno una pratica utilizzata… La guerra, del resto, è un formidabile acceleratore di tecnologia.
Inoltre vale la pena sottolineare come l’impero ottomano fosse diventato una potenza navale importante a partire da Barbarossa. Cioè sono diventati marinai quando in realtà erano nati allevatori di cavalli, anche se, in quanto musulmani, siamo soliti associarli con il mondo arabo…
La radice mongola dei turchi. Mi pare di ricordare che i turchi delle origini fossero una grande tribù divisa in due sottotribù, una delle quali si convertì all’Islam e l’altra diventò buddista. Cioè: erano estranei al mondo arabo. Le prime avvisaglie dell’arrivo dei turchi sono viste con terrore dagli stessi arabi a guardia del Santo Sepolcro. Gli Ottomani erano dei conquistatori, dunque non certo assimilabili all’occidente ma nemmeno all’oriente islamico: venivano dalle steppe.
Ignoro se facessero paura ai contemporanei nello stesso modo di Gengis Khan qualche tempo prima. E penetrando da una fascia un po’ più a settentrione. Credo che fosse stato Ögedei Khan a spazzare via sistematicamente tutte le armate che gli si presentavano contro nel corso della sua conquista dell’Europa. Riuscì ad arrivare fino ai confini della Germania. Un altro condottiero leggendario fu Batu Khan. Nessuno riusciva a fermare i Mongoli. Quando li vedevano arrivare le popolazioni minacciate tremavano: d’altra parte anche nelle leggende si diceva sempre che Alessandro Magno aveva chiuso le porte contro i popoli di Gog e Magog che venivano spesso identificati con il popolo mongolo.
Tornando alla Maremma, fu invece Ariadeno Barbarossa a ad invadere l’isola del Giglio nel 1544 e a deportare l’intera sua popolazione:
«L’isola fu saccheggiata, il castello e l’abitato furono bruciati e distrutti, l’intera popolazione di seicentotrentadue anime fu portata via in catene».
Ci sono grossi residui nella tradizione popolare del Giglio rispetto a questa vicenda: storicamente l’isola fu ripopolata e le attuali famiglie hanno memoria storica delle loro origini. Tanto è vero che le famiglie di Giglio Castello sono quasi tutte di origine toscana, in particolare provenienti da Pienza, mentre le famiglie di Giglio Porto sono di origine ligure e campana (oltre che toscana). Lo testimoniano i cognomi: i Cavero, gli Scotto al porto, mentre al castello ci sono i Pini…
Ma la differenza fondamentale si riscontra dal punto di vista, per intenderci, antropologico. Non so se lo sia ancora adesso nei medesimi termini ma quando visitai l’isola del Giglio per la prima volta la cosa era clamorosa e riguardava il cimitero di Giglio Porto e il cimitero di Giglio Castello: il primo era di tipo “romano”, cioè con le statue, con gli angeli etc… L’altro era di tipo “toscano” tradizionale, molto simile a quello del mio paese d’origine: tombe coperte d’erba, una croce di ferro e una piccola lapide, niente di più. Evidentemente era diversa la tradizione.
Non è solo una questione di ricchezza o di povertà dal momento che ricchi e poveri esistevano in tutti e due i luoghi nella medesima misura; semplicemente si trattava di un modo diverso di concepire la morte.
All’interno dell’impero ottomano ci sono stati cristiani convertiti all’Islam che hanno condotto carriere folgoranti, arrivando all’apice della scala sociale provenendo da ogni angolo d’Europa, compresa l’Italia. Polacchi, albanesi, genovesi, calabresi… anche gigliesi?
Loro dicono di sì, ma su questo non sono molto ferrato. A questa domanda potranno rispondere meglio Danilo Terramoccia e Angelo Biondi.
Per concludere: qual è lo stato di salute degli studi storici o tradizionali in Maremma? C’è comunque vitalità?
A mio avviso non c’è mai stato un momento migliore di quello presente perché l’arrivo dell’università ha dato finalmente un taglio di rigore alla dimensione storica che era sempre stata terreno di dilettanti, a volte bravi, sempre in buona fede, ma non sempre aggiornati con le tecniche della contemporaneità.
Dal punto di vista delle tradizioni: grazie all’Archivio delle Tradizioni Popolari della Maremma Grossetana posso dire che la provincia di Grosseto da un punto di vista della fiabistica è la più documentata d’Italia. Uno dei libri più importanti al riguardo è certamente quello di Roberto Ferretti Fiabe e Storie della Maremma nel fondo narrativo di tradizione orale, ci sono delle pubblicazioni fondamentali di Paolo Israel, prossimamente verrà pubblicato dall’editore Effigi un ottimo titolo sulla stregoneria.
Naturalmente ci sono anche delle grandi lacune che sostanzialmente sono legate al fatto che ancora non si è capito che un grande museo delle tradizioni popolari fatto a Grosseto sarebbe stato il volano di tutta una importante situazione culturale ma anche economica. La classe politico-imprenditoriale non lo ha capito e noi dell’Archivio siamo abbastanza vecchi e stanchi per riuscire a farglielo capire.
Ci sono degli esempi che sono clamorosi: il museo del brigantaggio lo hanno fatto nel viterbese, a Cellere. Il sistema museale senese è uno dei primi d’Italia. Qui noi abbiamo trovato opacità, nonostante il fatto che le nostre produzioni fossero valide sia a livello scientifico che a livello non dico divulgativo ma di racconto, come I Corsari e la Maremma.
La vitalità c’è e c’è stata. L’invenzione della Maremma è stata una grande mostra; secondo i nostri intenti avrebbe dovuto rappresentare la sinopia di questo importante museo da costruire, invece non c’è stato niente da fare. Il progetto ad Alberese è naufragato negli anni immediatamente successivi alla morte di Roberto Ferretti e poi ancora, ancora e ancora. Mentre invece intorno come ad esempio nel senese… Noi eravamo i primi e siamo rimasti gli ultimi qui in provincia di Grosseto per tutta una serie di motivi che ci sono.
Con questo non è mia intenzione fare un processo perché questo allora dovrebbe coinvolgere tutta la comunità.
Massimiliano Cavallo
complimenti, davvero un ottimo lavoro!