A Emilia e a Raffaele, avventurosi compagni di viaggio.
Neri Corsini entrò con aria furtiva nel maestoso ingresso delle terme Gellért. Era arrivato a Budapest la sera prima dopo un volo tutto sommato confortevole, se non fosse stato per la sua vicina di viaggio, una signora milanese querula e scollacciata che non gli aveva concesso un attimo di tregua. Nonostante lui avesse dimostrato palesemente di non avere alcuna voglia di socializzare, l’indiscreta viaggiatrice aveva insistito nella conversazione, anche quando lui aveva finto di assopirsi immerso nei suoi pensieri negativi. In effetti, appena sbarcato, era stato tentato di ritornare indietro con il primo aereo utile: tutta quella folla estranea e sudata gli faceva venire la nausea e non osava pensare né al lurido taxi che lo attendeva, né alla camera d’albergo che aveva prenotato in fretta e furia qualche giorno prima di partire. Invece, si ritrovò ben presto in un hotel del centro dall’aspetto assai dignitoso, frequentato da clienti riservati che non lo degnarono di uno sguardo. Anche la camera gli sembrò pulita. Così si addormentò presto, dopo una cena frugale consumata nell’albergo stesso, in compagnia (ma a debita distanza) di una coppia di anziani turisti austriaci. D’altra parte, bisognava adattarsi. Il dottor Chiarugi era stato perentorio: se voleva che la terapia desse i suoi frutti, doveva seguire i suoi consigli. Senza obiezioni e senza resistenze. Il viaggio doveva diventare per lui un’occasione di cura e le terme Gellért, antiche ed eleganti, erano un luogo favorevole al suo percorso di guarigione. Così il Corsini, di professione commercialista (affermato nonché facoltoso) si era rassegnato a quella vacanza per lui insolita, abituato com’era a trascorrere le ferie nell’afosa penombra del suo studio fiorentino in via Ricasoli, al terzo piano dell’antico palazzo di famiglia.
Le terme, situate in uno splendido palazzo liberty ai piedi della collina, non avevano affatto l’aspetto di un luogo frequentato dalla massa e questo lo rincuorò molto: nelle sale, ricche di maioliche e di mosaici, si respirava un’aria di fine impero che non gli dispiaceva affatto. Così, superato il primo impatto, si fece coraggio, pagò il biglietto d’entrata e si diresse con lo zaino in spalla verso le cabine. Qui l’aria umida lo fece indietreggiare ma riuscì a resistere. Entrato nella numero 7, si spogliò in fretta, non senza un moto di disgusto all’idea di ritrovarsi mezzo nudo, con un paio di ciabatte di plastica, in balia di chissà quali germi.
Ma, una volta entrato nella prima sala, non poté fare a meno di ammirare con stupore la grande piscina nelle cui acque azzurrine si specchiavano le eleganti vetrate del soffitto e le colonne di marmo istoriate. In alto, dai bianchi balconcini liberty penzolavano oziose, lussureggianti piante ornamentali. Ai bordi della piscina, accanto alle fontanelle, si ergevano statue superbe che rievocavano antichi fasti ottomani. Neri andò a sedersi su una poltroncina di vimini avvolto nel suo accappatoio viola, facendo attenzione a non scivolare sul pavimento bagnato. Intorno a lui uomini e donne in costume si gettavano nelle acque termali con evidente goduria.
Santo cielo, come farò a sopportare tutta questa promiscuità? Il dottor Chiarugi si è raccomandato di bagnarmi gradualmente, in modo da sopportare meglio lo shock del contatto fisico con questi estranei impudichi che non si fanno scrupolo di mostrare al mondo le loro oscene nudità. Non voglio pensare al momento in cui le mie povere carni si immergeranno nelle stesse acque nelle quali galleggiano con fare peccaminoso acerbe fanciulle in fiore e mature matrone consumate dalla lussuria, giovanotti avidi di godimento e anziani satiri memori di antichi piaceri.
Per dovere di cronaca, il Corsini si esprimeva con un lessico aulico e desueto non solo nelle sue elucubrazioni mentali ma anche nelle conversazioni quotidiane. Ma questo, lungi dal renderlo ridicolo o da isolarlo dal contesto sociale, gli avevano conferito la fama di simpatico misantropo. O meglio, di inguaribile misogino.
Era quasi mezzogiorno quando Neri si alzò dalla poltroncina, rimandando il suo bagno terapeutico al giorno dopo. Dopo aver consultato la guida del Touring, aveva deciso di trascorrere il pomeriggio visitando la città. Così avrebbe potuto farsi un’idea del centro di Budapest ma soprattutto avrebbe tenuto il prossimo a debita distanza. Stava dunque per avviarsi verso gli spogliatoi, quando un’ avvenente ragazza bruna, scivolando sul marmo bagnato, gli cadde letteralmente fra le braccia.
– Ohhh … mi scusi, sono davvero mortificata! – esclamò con accento toscano. E, mentre si rialzava mostrandogli il seno che fuoriusciva malizioso dal costume verde ramarro, prima ancora che lui avesse avuto la forza di replicare, lo investì con un fiume di parole: – Ma lei è italiano! Che fortuna. Mi scusi tanto se le sono caduta addosso. Spero proprio di non averle fatto male. Ma che maleducata che sono a non essermi ancora presentata. Mi chiamo Ambra Bini e sono arrivata giusto ieri da Firenze. E lei?
– Ne … neri Cor … sini. – balbettò lui con la fronte che colava sudore, mentre cercava goffamente di ricomporsi.
– Non mi dica che anche lei è di Firenze! – continuò la ragazza, sedendosi sulla poltroncina accanto – Corsini è un nome fiorentino e dal suo accento non ci si può certo sbagliare. Scommetto che anche lei era sul volo della Ryan Air. Ma guarda tu che combinazione!
– Già, anch’io ero su quel volo – farfugliò lui – ma non l’ho vista.
– E invece io sì! – replicò, lei allungando i piedi fino a toccare provocatoriamente le ginocchia di lui – Le confesso che non le ho staccato gli occhi di dosso per tutto il viaggio. Ero giusto una fila dopo di lei, sul lato opposto dell’aereo e dal mio posto potevo osservarla agevolmente. Capirà, un signore distinto come lei si nota subito, specialmente in mezzo a una folla di turisti dall’aspetto così dozzinale.
Neri fece una smorfia che voleva essere un sorriso. In realtà, era combattuto fra la voglia di darsela a gambe e un’attrazione – che non esitava a definire perversa – nei confronti della sfrontata turista fiorentina.
Non avrei dovuto dar retta al dottor Chiarugi. Sembrava che me lo sentissi. E ora come faccio a liberarmi di questa Ambra che mi si è appiccicata addosso come un fiume di Attack?Ma sono veramente sicuro di volerla allontanare da me? Intanto ieri pomeriggio mi ha trascinato fino al Castello di Buda e mentre salivamo sulla collina in autobus non ha smesso un attimo di parlare con quella sua voce tentatrice. A sentir lei, questo viaggio è stato deciso dal Destino ed è sicura che cambierà la vita sia a lei che a me. In effetti, non mi ero mai trovato in una situazione così conturbante: una trentenne che sprizza libidine da tutti i pori, che fa di tutto per provocarmi e che sembra conoscermi da una vita. Devo dire che la sua presenza mi inquieta non poco ma, al tempo stesso, sta diventando quasi familiare. Incredibile! Io che vado a giro con una donna giovane e decisamente arrapante. Chissà che non sia davvero un segno del Destino e che la sua imprevista apparizione non sia il primo passo verso la guarigione! Ma non mi illudo perché, mentre contemplavamo il crepuscolo sulle acque del Danubio, a un tratto, Ambra mi ha preso per mano e, appoggiandosi languidamente al parapetto del ponte delle Catene, mi ha cinto la vita con un braccio nudo. Ed è stato in quel momento che ho avvertito il solito demone che da mesi mi agita il cervello. Per non parlare del corpo. E’ una sensazione che purtroppo conosco bene: mi sono sentito come se una corrente elettrica mi avesse improvvisamente percorso le membra e l’immagine di un altro braccio, nudo e bianco come il suo, mi è apparsa davanti agli occhi. Invano ho tentato di scacciare quel fantasma ma, come lei ha incominciato a strofinarsi contro la mia schiena, mi sono sentito male.
– Che ti succede, Neri? – mi ha chiesto lei, ammiccando maliziosamente – Davvero sono capace di mandarti in apnea?
– Non è niente, deve essere stato il gulash che mi è rimasto sullo stomaco. Non ti preoccupare, ora passa.
E invece sapevo benissimo che il mio malessere non sarebbe passato tanto in fretta. Quando Lei decide di ritornare, non mi dà pace. E dire che non ho mai saputo nemmeno il suo nome! A pensarci bene, avrebbe potuto chiamarsi anche Ambra. Perché no? Anche Lei aveva i capelli neri e ricci e uno sguardo, innocente e malizioso al tempo stesso, molto simile al suo. Uno sguardo che non poteva lasciare scampo né a Lei né a me. Basta, non devo pensarci più! Devo assolutamente affrontare le mie paure e abbandonarmi a questa insperata avventura. Che sia veramente giunto il momento di liberarsi di questa insana ossessione? Possibile che Ambra sia l’angelico demone inviatomi in soccorso da qualche pietosa divinità?
In effetti, dopo solo due giorni di vacanza, il Corsini sembrava un altro: aveva camminato a lungo per le strade di Budapest, visitando in una sola mattinata il palazzo del Parlamento e la Cattedrale di Santo Stefano. All’ora di pranzo, Ambra lo aveva trascinato in un ristorante alla moda in Vàci utca, dove si erano rimpinzati di spezzatino di maiale con paprika e crauti. E, come se non bastasse, lei aveva preteso di assaggiare anche i pasticcini del Café Gerbeaud, tanto decantati dalla guida di Neri che lei aveva spulciato accuratamente. Non ancora sazia, nonostante i dolci, i marmi, gli stucchi e i lampadari esotici, aveva obbligato il Corsini (esausto e sconvolto da questa inaspettata botta di vita) a fare una visitina a un romantico localino sul Danubio, dove, fra una limonata allo zenzero e un bicchierino di Amaro Unicum, Ambra aveva ritenuto che fosse giunto il momento di sedurlo in via definitiva.
Se mi avessero detto che la mia vacanza sarebbe diventata una corsa verso il “maelstrom”non ci avrei creduto. Sì, perché è proprio un “gorgo”, affascinante e letale al tempo stesso, quello nel quale sto precipitando grazie a questa vogliosa femmina fiorentina. Stanotte non sono riuscito a chiudere occhio e, mentre lei dormiva beatamente nella stanza accanto dopo aver trasformato per tre ore di fila la mia camera d’albergo in un bordello bizantino, il solito incubo è venuto a farmi compagnia. E’ chiaro che mi ha stregato con non so quale malia: il suo profumo mi è rimasto nelle narici e le sue parole mi rimbombano ancora negli orecchi come il canto di una sirena bugiarda. Ma quello che più mi turba in lei è il fatto che, nonostante il caldo, si ostini a indossare calze velate. La prima volta che le ha messe è stato ieri pomeriggio, quando siamo andati all’Isola Margherita. Che motivo c’era di indossare delle calze di nylon in pieno luglio per passeggiare ai bordi di un laghetto in mezzo ai fiori ? Evidentemente anche questo è un segno del Destino, al quale so ormai di non poter sfuggire. Il dottor Chiarugi è stato troppo ottimista. O incosciente.
E mentre il povero Neri si tormentava in preda ai suoi incubi, nella camera accanto la bruna Ambra non dormiva affatto.
– Paola, Paola… Mi senti? Non riesco a collegarmi in video chiamata, evidentemente la connessione non è delle migliori. Ecco, ora ti vedo, finalmente. Come stai?
– Non c’è male, solo che a Firenze fa un caldo boia. Ma tu, piuttosto, che notizie mi dai?
– Tu non ci crederai ma il pesciolino è già finito nella rete. E tu dovresti vedere come ci sguazza!
– Bene, sono contenta per te. E anche per me. Mandami qualche foto con Whatsapp. Ricordati il patto: una volta preso al laccio il principale, facciamo fifty – fifty. Non penserai che abbia accettato di aiutarti solo per la gloria, eh? Sono quindici anni che lavoro nel suo studio e mai una volta che si sia degnato di farmi un regalino o almeno di dirmi grazie. Insomma, più che da segretaria gli ho fatto da serva. Ma ora, una volta che tu sarai diventata la signora Corsini, spero proprio di fare un po’ di carriera. Me lo merito, no?
– Certo che te lo meriti, Paolina. Senza le tue preziose informazioni, non sarei mai riuscita a conoscerlo. Guarda che l’idea di comprare il mio biglietto aereo insieme al suo è stata davvero geniale e devo dire che lo avevi descritto perfettamente: un bambinone timido che ha paura delle donne ma che le apprezza parecchio. Eccome se le apprezza!
– Poi mi racconterai a quattr’occhi e ci faremo delle belle risate alle sue spalle. Ormai hai fatto Trenta e ti manca davvero poco a fare Trentuno. Coraggio, hai quasi centrato l’obiettivo. Ci sentiamo quando tornate a Firenze e, mi raccomando, non te lo lasciar scappare. Se la Natura mi avesse dato le tue gambe e le tue tette, ti assicuro che avrei giocato le mie carte da sola ma purtroppo sono sempre stata bruttina e mi devo rassegnare a fare il palo. Ora vai a dormire perché immagino che la serata sia stata faticosa.
– Abbastanza ma ne valeva la pena! Buonanotte, Paoletta e … grazie ancora!
Sono le tre di notte e ogni tentativo di assopirsi è risultato vano. Ogni volta che Neri socchiude gli occhi in cerca di quiete, l’immagine di Lei che cammina lungo via Ricasoli con quelle sue lunghe gambe velate lo riporta nel “gorgo”.
Lo sapevo che le pasticche non mi avrebbero difeso dalla mia ossessione. Mi pare di vedermela davanti agli occhi, mentre mi passa accanto sfiorandomi con indifferenza. E dire che avevo persino provato a parlarle ma ogni volta che cercavo una scusa per rivolgerle la parola, la lingua mi si paralizzava. Con Ambra è stato diverso perché è stata lei a prendere l’iniziativa. Devo ammettere che per un attimo ho creduto di essere sulla strada della guarigione, anche perché non mi era mai successo di avere una relazione non virtuale con una donna. Ma quando lei ha indossato quelle maledette calze velate, ho capito che per me non c’era salvezza. E, a questo punto, nemmeno per Ambra. Lo so che succederà ancora quello che è successo a Lei. Era così bella con quella gonna corta e i tacchi alti che, quando entrò nell’ascensore insieme a me, pensai di toccare il cielo con un dito. Ma poi quando lei, invece di rispondere al mio sorriso, mi girò sdegnosamente le spalle, non so che cosa mi sia preso… Ricordo solo che fra il pianterreno e il sesto piano accadde qualcosa di terribile. Quando il giorno dopo lessi su “La Nazione” della ragazza strangolata in ascensore con una calza di nylon, mi resi conto che il mio incubo era realtà e che il maniaco assassino di via Ricasoli per me non era affatto uno sconosciuto. Mi dispiace tanto, Ambra. Mi ero illuso che mi avresti guarito ma, da quando hai avuto l’infelice idea di indossare calze velate in pieno luglio, so che sono inesorabilmente condannato. E, purtroppo, lo sei anche tu.
Laura Vignali