Siamo abituati al romanzo storico fin dall’Ottocento romantico, quando nacque ed ebbe grande diffusione. Nessuno ci aveva ancora introdotto al romanzo preistorico. Lo ha fatto Nando Maurelli, professore di filosofia, con il suo libro “Il chopper e la tribù di Lucy” edito da Effigi. È possibile imbastire la trama di un romanzo ambientato in un’epoca priva di testimonianze scritte? A quanto pare, si può. La conoscenza del nostro passato più remoto è oggi più agevole grazie ai progressi dell’archeologia, della genetica e dell’etologia, scienze in così costante evoluzione da illuminare abbastanza la vita dei primi ominidi.
Il romanzo di Maurelli è ambientato dieci milioni di anni fa, quando l’uomo era un primate appena passato alla stazione eretta, da scimmione quadrumane e arboricolo che era. Ne è protagonista assoluta Lucy, nome dato all’esemplare femmina di uno scheletro fossile trovato in Etiopia nel 1974 ed esposto per molti anni negli Stati Uniti, diventando famoso in tutto il mondo. L’autore si ispira a questo reperto archeologico e ai libri della grande archeologa lituana Marija Gimbutas. La Lucy del romanzo guida una avventurosa migrazione, quando nella sua terra la sopravvivenza è minacciata dalla siccità e dall’avanzamento del deserto. In Africa orientale le terre avevano cominciato ad aprirsi dando origine ad un fenomeno di depressione e frattura oggi noto col nome di Rift. Terre lussureggianti e fiumi si trovavano sempre più a oriente, mentre l’occidente si desertificava. Il romanzo è dunque la storia di un viaggio, una migrazione per fame. Lucy è l’unica a capire che la salvezza è partire, mentre gli ominidi suoi congeneri non capiscono il cambiamento in atto, per pigrizia e lentezza cerebrale. Lucy partirà con il vecchio padre Gugu, due figli bambini e due preadolescenti, dopo essersi alleata con un gruppo di tre donne e tre uomini guidato dalla saggia Babai. Trattandosi di un’epoca in cui sono presenti sulla terra i grandi pachidermi preistorici, il viaggio, come si può immaginare, è anche un excursus nella paura più ancestrale della specie umana: la paura dei mostri. Lo comprendiamo quando il gruppo si dovrà difendere da immensi uccelli predatori, da un terrificante drago dal fiato pestifero, dalla tigre dai denti a sciabola e dallo spaventoso, anche se mite, indricoterio, alto cinque metri e lungo otto. La tribù di Lucy già pratica la caccia e la pesca, avendo smesso da tempo di cibarsi solo di frutti, bacche e tuberi. La caccia è guidata dalle donne. Pare abbiano una marcia in più nel comprenderne tattiche e strategie. I primi animali cacciati, catturati con astuzie di gruppo, sono uccisi con i denti e mangiati crudi. E sono proprio le donne a inventare strumenti per cacciare, spezzare le carni e le ossa. Il primo strumento inventato è appunto il chopper, una pietra ovoidale di fiume, appuntita e resa tagliente. Con il chopper si uccide, si scuoia, si affetta. Altre armi da lancio sono frutto dell’inventiva femminile, come bastoni e ossi forniti di una pietra acuminata. Chi li possedeva aveva più chance di sopravvivenza. Così l’orda numerosa di ominidi, partita dall’Africa in ritardo rispetto alla tribù di Lucy, è rozzamente armata ma molto aggressiva e violenta. Per questo quando incontra una comunità di giganti e gigantesse buoni che gli va incontro con le braccia cariche di frutti della foresta, come aveva già fatto con gli ominidi di Lucy, non comprende la loro ospitalità e li stermina tutti con le armi che possiede. In quest’orda le donne hanno già perduto il loro potere di tenere a bada la violenza dei maschi, sempre litigiosi e aggressivi anche con i membri della loro stessa tribù. Appena Lucy li vede arrivare da lontano, li teme, ma si preoccupa, insieme alla fida compagna Babai, di cercare per loro ripari nelle grotte delle verdeggianti colline dove la sua tribù è giunta. Si preoccupa anche della condivisione del poco cibo posseduto, essendo l’ospitalità e la condivisione costumi trasmessi di madre in figlia. Ma per l’assoggettamento delle donne alla volontà maschile questi costumi non sono più in uso presso i nuovi arrivati. L’autore definisce questa particolare genia di ominidi “homo cupiens”, cioè uomo avido. I nuovi arrivati mugugnano davanti alla condivisione e cominciano a desiderare non solo più cibo, ma anche le suppellettili possedute dalla tribù ospitante, come sacche e stuoie di pelle. Fra gli oggetti del loro desiderio ci sono anche le armi da caccia di Lucy, più raffinate delle loro. Per averle ricorrono al furto, commettendo perfino l’omicidio di un proprio compagno. Lucy vuol fare chiarezza per smascherare i ladri ed espellere l’omicida. Ma tutta l’orda si rivolta contro di lei. È la guerra di umani contro umani. Quando le due schiere sono l’una di fronte all’altra, accade un fatto straordinario. La tigre dai denti a sciabola, che tante volte aveva riconosciuto la superiorità di una donna forte e pacifica come Lucy, uscirà all’improvviso dal bosco, salvando lei e la sua tribù, inferiore di numero. Una tigre riesce a comprendere la nefandezza di una guerra tra congeneri… Non la comprendono ancora, invece, gli umanoidi di oggi, donne comprese.
Maria Teresa D’Antea