Nell’ambito della mia famiglia, ho sempre avuto rapporti affettuosi con tutti.
Ma, oltre alle Incompiute, la più cara amica e di certo la più affine a me, è stata proprio mia cugina Martina, di due anni più giovane.
Con lei ho condiviso un’infanzia felice, giocando, leggendo e, soprattutto, ascoltando le storie della nostra nonna comune, la Nonna Elena.
Quale piacevole ricordo dei pomeriggi lunghi d’inverno, a casa sua, tra pasticcini e TV dei ragazzi. Era stata una maestra e sapeva bene come trattare i bambini, pur nella loro diversità. Chiamava Desdemona “la mia puledrina”, mentre
Martina ed io, inseparabili, eravamo semplicemente “le care bambine”.
Aveva tanti libri per l’infanzia e bellissimi testi di poesie.
Mi sembra ancora di sentire la sua voce quando ci insegnava i mesi dell’anno attraverso i versi di Angiolo Silvio Novaro:
Gennaio mette ai monti la parrucca,
Febbraio grandi e piccoli imbacucca;
Marzo libera il sol di prigionia,
April di bei color gli orna la via;
Maggio vive tra musiche d’uccelli,
Giugno ama i frutti appesi ai ramoscelli;
Luglio falcia le messi al solleone,
Agosto, avaro, ansando le ripone;
Settembre i dolci grappoli arrubina,
Ottobre di vendemmia empie le tina;
Novembre ammucchia aride foglie in terra,
Dicembre ammazza l’anno, e lo sotterra
Ma Desdemona era già piuttosto ribelle e non sempre disponibile ad ascoltare le conversazioni affettuosamente didattiche della nonna.
Martina ed io, invece, eravamo le care bambine, ascoltatrici quiete e fedeli.
Ci somigliavamo anche, con i nostri colori chiari e delicati, le snelle figurette in grembiulino che sembravano uscite da un libro di lettura.
E poi la nonna aveva tanti dischi, dei grandi 78 giri con canzoni dei suoi tempi.
Storie di donne maliarde e di madri snaturate, fanciulle sedotte e tanghi ingannatori.
Sento ancora “Vipera, vipera, sul braccio di colei ch’oggi distrugge tutti i sogni miei, sembravi un simbolo, l’atroce simbolo della sua malvagità…
Mamma che quando sogna sogna il vero, ha sognato di me la notte scorsa, mi ha visto per un ripido sentiero, presso la mala vipera ed è accorsa…”
A questa mamma premurosa e veggente faceva da contrappunto la madre frivola e terribilmente egoista di “Balocchi e profumi” che porgeva “il labbro tumido al peccato” e che si pentiva solo nel vedere la piccola figlia agonizzante.
E la ragazza sedotta dal ciondolo d’oro? Per la vanità di un gioiello, aveva perso ogni virtù… Queste melodie, veramente demodé, ci affascinavano per il loro linguaggio desueto e per gli argomenti un po’ morbosi. Ma la nostra preferita era una canzone che molto spesso, anche di recente, è stata ripresa in vario modo, semplicemente perché si trattava , in effetti, di un vero gioiello. Il titolo è “In cerca di te”, ma è più conosciuta come “Solo me ne vo per la città”… vado tra la folla che non sa, che non vede il mio dolore, sognando te , cercando te che più non ho…
Mi capita anche adesso di sentire l’ultima versione (di Simona Molinari e Peter Cincotti), tra l’altro molto bella, su Radio Cuore, e si sovrappongono, nella mia mente, la vecchia e la nuova, ugualmente affascinanti e “vere”.
Molti anni dopo, con Martina, abbiamo riparlato più volte delle “canzoni della nonna”, trovando in esse parti e momenti di vita.
Che cosa si può dire, ad esempio, del “Tango del mare”? Quale innamorato odierno, conoscendola, potrebbe non ritenerla adatta a rappresentare il suo amore incerto e sospirante?
“Forse sarà la musica del mare che nell’attesa fa tremare il cuo-ore, torna ogni vela e tu non vuoi tornare, che lacrime amare versare fai tu-u”.
Ci piaceva classificare le canzoni per argomento e, al Tango del mare di Oscar Carboni, avevamo abbinato la assai più recente “Guarda che luna” di Buscaglione.
Grande artista, il fantastico Fred. Un mito nella mia famiglia. Quando noi siamo nate, lui se n’era già andato, in un gelido mattino di gennaio, ma la discografia completa troneggiava sia a casa della nonna che presso le nostre madri.
“Guarda che luna- guarda che mare- da questa notte senza te dovrò restare…”.
E poi Che bambola!, Eri piccola, Love in Portofino… Che meraviglia!
Ma quella che ci faceva più ridere era una delle meno conosciute, “Giorgio del lago maggiore”, “ oh Giorgio, Giorgio…” Con un controcanto fenomenale che faceva “Chianti-risotto-polenta”. Era davvero carina. E poi il padre di Martina si chiamava Giorgio e lei cantava la canzone in suo onore durante nostri spettacolini domestici in cui si esibiva Desdemona , generalmente nella parte della maliarda, cantando Lilì Marlene, mentre mia zia Maria ci deliziava con canzoni molto più dolci, tipo “Concertino, al chiar di luna sotto il balconcino…” . Il pezzo forte di Martina era, come ho detto, proprio Giorgio del lago Maggiore, dedicata al padre. Io, invece, preferivo non cantare in pubblico, anche se si trattava solo della nostra famiglia.
La Prudenza , che mi è stata sempre maestra, suggeriva di ascoltare i vecchi dischi senza necessariamente interpretarli.
Così gli anni passavano. Strana cosa il tempo. Sembra che l’infanzia non debba mai finire e poi come sono lunghi gli anni della scuola… Martina ed io, immerse come eravamo nel nostro mondo di canzoni (non solo quelle della nonna, ma anche le nuove) non ci accorgevamo che, come dice Modugno in una delle sue canzoni più belle e meno conosciute “… nell’attesa i giorni sono lunghi, mentre gli anni se ne volano, se ne volano…” .
La nostra famiglia compatta e a prevalenza femminile ci rendeva attente alla narrazione delle storie, alla musica, colonna sonora di ogni giorno, e ai profumi di casa: borotalco, aromi di cucina, saponi e naftalina. Sì, perché anche la naftalina era un profumo che veniva dai grandi armadi della nonna. E poi ci faceva pensare ad Eta Beta, per cui era nutrimento…
Con Martina, dunque, più che con le altre, ho condiviso ogni minuto di quelle giornate e con lei si è stabilito un rapporto diverso, tanto che ancora adesso riusciamo spesso a capirci senza parlare.
Mentre Desdemona ha sempre preferito condurre la sua vita in un individualismo estremo, noi due siamo cresciute come un’entità quasi indistinta che si è completata con il colore delle Incompiute. Un vero quartetto : Prudenti e Incompiute. Anche se poi ognuna di noi ha avuto il suo percorso, ben differenziato e singolare.
Ma quel gruppo è rimasto. Ed è coeso. Tanto che spesso, ancora oggi, ci troviamo tutte insieme, nella più assoluta comprensione, a scambiarci storie ed opinioni.
Martina è la più giovane delle cugine, quella che ha subìto meno le aspettative dei nostri genitori. A casa mia Desdemona, con la sua turbolenza, ha assorbito la quasi totalità delle cure a tutte le età. Bisogna anche dire che la nonna, oltre a due figlie e tre nipoti femmine, aveva anche una sorella, madre di una sola figlia e nonna di una nipote mia coetanea, Maristella. Di quest’ultima avremo modo di riparlare. Diciamo che era di sicuro perfettina e obbediente, ma anche pettegola e cattivella. Per cui, io e Martina non abbiamo mai voluto accoglierla nel nostro mondo di bambine prudenti, forse per questo molto più libere di fantasticare e crescere senza eccessive pressioni.
Martina ,invero, si era dimostrata la più brillante di tutte noi negli studi, quella che non prendeva mai meno di otto, e senza fatica, grazie alla sua prodigiosa memoria e alla perseveranza leggendaria che metteva in tutte le sue attività.
Maturità col massimo dei voti, laurea in Medicina in tempi rapidi.
Meno timida di me, anche se riservata, era sempre disponibile e gentile, pur se di poche parole. Con le Incompiute, poi, si era sempre divertita molto.
Era, insieme a me, la loro confidente e consigliera, aveva seguito tutte le loro vicende adolescenziali e quelle successive.
Ma la cosa più bella è che, essendosi specializzata in Ostetricia e Ginecologia, si trovò a lavorare fianco a fianco con Manuela diventata ostetrica.
E la collaborazione professionale in un lavoro decisamente appassionante ed ogni giorno diverso,aveva cementato la loro amicizia e rafforzato anche il nostro quartetto.
La Prudente Giulietta , l’Incompiuta Manu (che però nella professione aveva trovato un punto fermo) , la Perseverante Martina e la Sognatrice Simona erano, insieme , una vera Forza, un insieme energetico, diceva Desdemona leggermente invidiosa, in cui la diversità e l’affetto si intrecciavano in modo perfetto ed erano rifugio sicuro per tutte noi.
Ci vedevamo spesso, ma era un impegno inderogabile cenare insieme almeno due volte al mese, preferibilmente di giovedì. A me sarebbe andato meglio il sabato, ma le altre, Martina compresa, avevano una vita sociale più vivace della mia e preferivano dedicare il sabato sera ad altre frequentazioni e attività.
Intanto gli anni passavano, avevamo raggiunto tutte la trentina, in maniere diverse.
Desdemona con uno stile che definirei epico, le Incompiute con vicende rocambolesche. Io, prudentemente ancorata alle mie sobrie sicurezze e Martina lanciata nella professione, ma anche fidanzata seriamente.
serie, studiose, organizzate.
Giulietta e Martina, due brave ragazze, dicevano le amiche delle nostre madri.
Pensate un attimo quanto è terribile questa definizione: brava ragazza. Significa adeguata, non necessariamente intelligente. Una da cui non ci si aspettano azioni sconsiderate, con idee non troppo fantasiose e sani principi.
E’ davvero una brutta espressione. Per renderla efficace e farla uscire dalla banalità di un giudizio affrettato, bisogna invertire i termini. Una ragazza brava. Questo dovrebbero augurarsi tutte le madri: ragazze brave e non brave ragazze.
Lo dico sempre ai miei alunni: attenti al linguaggio, perché con le parole si crea la realtà. Ed etichettare chiunque con espressioni scontate e luoghi comuni è assolutamente da evitare. Può succedere come nelle favole, che la definizione così affrettatamente lanciata al vento colpisca il destinatario e lo trasformi irreversibilmente in quel trionfo di ovvietà con cui è stato inquadrato.
Noi due, ed anche Desdemona, eravamo in realtà “ragazze brave” e dunque capaci, ciascuna a suo modo, inizialmente parallelo e poi divergente…
Ma proprio dall’arazzo delle nostre storie e dall’intrecciarsi dei fili ha avuto origine qualcosa di assolutamente diverso da quello che tutte noi ci saremmo aspettate.
E per ben comprendere come i ricami più accurati possano portare a risultati del tutto inattesi, bisogna percorrere attentamente il percorso dell’ago…
E tornare , nel nostro caso, alla storia delle nostre madri e di una loro amica speciale, Maria Anellini, coniugata Pastacorta.
Fulvia Perillo