Sono nata il 7 settembre alle 7. Vergine ascendente vergine, studiosa, metodica, parsimoniosa ed incredibilmente abitudinaria. Per dire: da molti anni, mi sveglio con Radio Italia solo musica italiana.
È quasi un segreto, perché non posso raccontare ai miei allievi che la loro professoressa di storia e filosofia, così intellettuale e pretenziosa, la mattina presto è solita iniziare la giornata con canzoni tipo Gelato al cioccolato o Anima mia.
Non solo, ma, nel silenzio della sua stanza tappezzata da una vecchia carta da parati, canticchia i motivi delle stesse, e ne conosce ogni parola. Certo, questo è uno dei vantaggi di essere single, scegliere di svegliarsi liberamente e iniziare la giornata in modo leggero, senza nessuno che sbuffi o recrimini sull’orario.
È uno dei piaceri della vita, d’altronde. Il mio caffè musicale.
I miei anziani genitori, con cui ancora abito, ne sono ovviamente al corrente e così pure mia sorella Desdemona che conosce bene quella che lei chiama “la perversione di Giulietta”.
D’altra parte, con un nome così, qualche compromesso col cuore dovevo pur farlo.
Ed essendo piuttosto restia alle reali vicende d’amore, ho sempre preferito viverle attraverso quei testi di canzoni che a volte sono poesie, magari banali, ma sfacciatamente veri.
Giorni fa, verso le sei di mattina, ascoltavo quella magnifica canzone di Luigi Tenco, Guarda se io.
Peccato che non molti la ricordino. È una delle più belle e vere. “… guarda se io che ero così sicuro della mia vita, dovevo incontrar te ed ecco da un momento all’altro, nel mio mondo di ieri non capirci più niente, nel mondo di domani vedere solo te…”. Romanticherie? No, realtà.
I miei giovani allievi, spesso in piena tempesta ormonale, non sospettano che dietro la loro insegnante dagli occhi di ghiaccio, l’imperturbabile professoressa Tesorini, si nasconda un’esperta di questioni di cuore.
Che si accorge, tra l’altro, delle loro giovanili emozioni, dei palpiti che li attraversano e degli intrecci di sentimenti che serpeggiano nelle classi.
Spesso mi sono chiesta se anche la mia insegnante di filosofia (come me single, ma allora si diceva zitella) percepisse qualcosa di più profondo del rendimento scolastico degli alunni.
Chissà. Certo che era una donna particolare, intelligente e perspicace. Ma non si è mai saputo se, in segreto, seguisse anche lei il Festival dei Fiori.
Il caso ha voluto che fossi proprio io, una delle sue migliori allieve, a sostituirla quando è andata in pensione. Mi ero proposta di essere più flessibile e meno esigente della sua predecessora che ancora oggi compare nei sogni di molti professionisti della città, interrogandoli come molti anni prima.
È stata una insegnante-simbolo. Giorni fa un suo ex allievo degli anni ’70 raccontava su Facebook di averla sognata ed aggiungeva di non aver neppure potuto chiederle i numeri, in quanto la Professoressa Linni è ancora viva e vegeta, seppur vicina ai novanta.
Ebbene: più passano gli anni, più assomiglio alla mia predecessora e non mi accontento di una filosofia copia-incolla.
Voglio l’argomentazione, la logica, la critica… Beh, forse i miei allievi già mi sognano, ma cosa ci posso fare.
Loro non sanno che Parmenide, Aristotele, Cartesio, Hume e tutti gli altri Signori del Pensiero, potranno un giorno aiutarli a interpretare le loro vite e, magari, anche i sentimenti.
La Professoressa Lina Linni ha avuto dunque la sua giusta successione nella bionda, ma non spumeggiante, Giulietta Tesorini. Un nome che sembra uscito dai Baci Perugina, hanno scritto i ragazzi nel giornalino scolastico, e non sanno quanto siano vicini alla verità…
La loro insegnante, mentre li interroga sul divenire eraclitèo, vorrebbe domandare se pensano che l’Amore sia come un fiume che scorre e dove non ci si bagna due volte oppure se ritengono che somigli piuttosto all’essere parmenideo, perfetta sfera immutabile.
Non immaginano neppure che, alla sistematizzazione aristotelica della natura, la Professoressa Tesorini, ha aggiunto una classificazione dei sentimenti ed ha cercato di studiarne le leggi…
Pensare, classificare – scriveva Georges Perec.
Non potendo tenere ai miei allievi una lezione sull’argomento e tantomeno comunicar loro l’andamento dei miei studi (scientifici?), mi sto dedicando alla scrittura di un piccolo libro intitolato Le Tre Esse dell’Amore, di cui riporto qui una breve sintesi:
L’amore si può riassumere, sinteticamente, in tre lettere, che poi sono una. Mi spiego meglio, la lettera è una sola, la esse, ma ripetuta tre volte: Sesso, Soldi e Solidarietà.
– La prima esse è, ovviamente, il Sesso.
Cominciamo dall’adolescenza, quando iniziano a palesarsi gli ormoni.
La natura, non solo quella umana, ha come primo istinto la riproduzione e quindi, da che mondo è mondo, il sesso è una necessità naturale, come mangiare o dormire. Solo che ci dobbiamo costruire intorno un castello di fesserie. E dunque si scambia il sesso per amore, si pensa di provare certe sensazioni, perché siamo travolti dal sentimento. Ma non sempre è così. E prima di noi, lo hanno pensato milioni di persone, per lo più sbagliandosi.
– Veniamo alla seconda esse. I Soldi.
In gioventù, la maggior parte delle persone pensa più al sesso che ai soldi, anche se ormai la nostra società è monetizzata e quindi anche le ragazze, adesso, danno più peso a questo aspetto.
I soldi contano, via, diciamo la verità. Magari in forma indiretta, sotto l’aspetto di una bella posizione sociale. Quante ancora si innamorano più del ruolo che dell’uomo?
Perché il fascino è collegato al potere e dunque anche al denaro, in qualche modo.
Ma, col tempo, questa seconda esse si ingrandisce e, a quarant’anni, ha più peso che a venti, a sessanta ancora di più.
– La terza esse è la Solidarietà. Anche questa viene sottovalutata all’inizio, poi cresce e, in età avanzata, prevale.
Non solo: molte unioni, specie matrimoni tradizionali, si basano SOLO sulla solidarietà. Il sesso è servito all’inizio per unirsi, forse per procreare, poi il rapporto si desessualizza e i due diventano una sorta di parenti stretti che provvedono alle reciproche necessità e magari alla cura di figli e nipoti.
È un aspetto che non va sottovalutato, perché, alla fine, rimane. È un po’ come lo scheletro nel corpo, insomma.
Bisogna immaginare l’amore come un grafico a torta diviso in tre. Ogni storia d’amore ha una parte prevalente, che magari cambia negli anni. Le tre parti, insomma, non sono quasi mai uguali e i rapporti che reggono di più sono quelli che si adattano al cambiamento.
Vuol dire, dunque, che ci si debba rassegnare ad avere un partner da assistere e che ci assista? – si potrebbe obiettare. Ma io non la vedrei così negativa. L’importante è non essere come Madame Bovary, disprezzare il povero dottore suo marito, per poi finire suicida. Lei, come sappiamo, era rimasta ferma alla prima esse, scambiandola per amore, e, come si può vedere, non ne ha tratto alcun vantaggio.
Ma, oltre alla teoria delle tre esse, base e fondamento del Tesorini-pensiero, il mio libro dovrà contenere una classificazione sistematica delle donne relativa al loro modo di vivere il sentimento amoroso.
Per questo sto studiando da anni, forse da sempre, prestando grande attenzione al mio ed altrui comportamento e, dato che il microcosmo corrisponde al macrocosmo, ho tratto preziose informazioni osservando la mia famiglia e le più strette amicizie, perché, come Aristotele, utilizzo un metodo empirico.
Dalla conoscenza del particolare e dal raffronto tra le varie situazioni, ho cominciato a stilare una serie di tipologie delle quali mi diletterò di raccontare nel mio piccolo trattato, non certo un’enciclopedia, ma di sicuro un pratico manuale.
Ma, prima di addentrarmi nello specifico, è opportuno raccontare chi sono i protagonisti, primari e comprimari, delle mie storie esemplificative e talvolta pedagogiche.
Mia madre per moltissimi anni, ha insegnato lingua e letteratura inglese al liceo scientifico e senza dubbio la sua grande passione per le opere di William Shakespeare l’ha indotta a scegliere per mia sorella e per me i nomi di Desdemona e Giulietta.
A mia cugina, nata nel 1963, è toccato un destino più lieve. Si dà il caso che le sorelle Sandrelli, Anna, mia madre, e Maria, abbiano sempre avuto per faro la musica leggera italiana, Mina in particolare. “La dovrebbero nominare senatore a vita, altro che quelle cariatidi novantenni o quei catafalchi di economisti…”.
Così, quando Maria era incinta della sua prima e unica figlia, le due sorelle avevano deciso (incuranti del parere paterno) che il bambino, se maschio, avrebbe avuto per nome Massimiliano. Come il neonato figlio della Tigre di Cremona. “Va bene, è un bel nome – diceva il futuro padre con poca voce in capitolo – ma almeno ricordati che molti altri lo hanno portato prima di quel bambino. Pensa, per esempio, a Massimiliano d’Asburgo…” “sì sì, va bene – rispondeva Maria – ma, nel 1963, se dici a chiunque Massimiliano , ti risponderà “Mina!” o, tutt’al più “Mina e Corrado Pani” .
“Che poi, guarda – aggiungeva – Corrado Pani è anche un tipo affascinante”.
“Un po’ mingherlino, però” precisava la sorella. “Eh, cara, gli uomini non si misurano mica a peso… D’altra parte Mina poteva scegliere, non credi?”.
Queste dotte conversazioni, da loro stesse raccontate negli anni, avrebbero comunque avuto la meglio se per l’appunto, in un umido mattino di fine ottobre, non fosse venuta al mondo una bambina. Ma le sorelle Sandrelli (come Stefania, ma non parenti – precisavano loro) erano riuscite a trovare una valida alternativa nel nome Martina, come la figlia di Milva, appunto. Oltre che a imporre il proprio pensiero, cosa che invero accadeva praticamente sempre. Non potendo onorare la tigre di Cremona, l’omaggio si era spostato alla Pantera di Goro.
Così, la mia infanzia, si è svolta in un ambiente a grande prevalenza femminile. Mamma e zia, la nonna Elena, mia sorella ed io, e infine la cugina Martina, con cui ho sempre avuto una qual sorta di affinità elettiva.
Poi ci sono i nostri padri. Il mio, Ludovico Tesorini, è stato dirigente di un importante ufficio pubblico, mentre mio zio Giorgio era macchinista delle ferrovie.
(continua)
Fulvia Perillo