La signora Maria Anellini aveva fatto un ottimo matrimonio. Suo marito, infatti, era direttore di banca e non solo: un ricco prozio senza figli lo aveva lasciato unico erede di un cospicuo patrimonio immobiliare.
Così Maria, alla nascita del primo figlio, avvenuta nei primi anni ’60, aveva smesso di lavorare per dedicarsi alla famiglia ed essere la famosa grande donna che sta dietro al grande uomo, organizzandogli la parte pratica della vita e curandone le tante importanti relazioni sociali.
Il Dottor Marco Aurelio Pastacorta, così si chiamava il marito di Maria, aveva scalato rapidamente le vette di una brillantissima carriera, grazie alla sua competenza, ma anche alla innata capacità di intrecciare rapporti utili, frequentare ambienti giusti, saper scegliere con cura le parole da dire e da non dire.
La migliore amica di Maria, per l’appunto Maria anch’essa, si era invece sposata con un ferroviere, aveva un mutuo e le rate della macchina da pagare, per cui, a differenza della signora Anellini in Pastacorta, si era tenuto stretto il lavoro di contabile nell’ufficio che negli otto anni precedenti aveva condiviso con l’amica.
Le due Marie, comunque, si frequentavano sempre e per la Anellini in Pastacorta quelli con l’affezionata omonima erano momenti di vera gioia, lontano da cene ufficiali e cocktail eleganti, dove tutte le signore dicevano “carissima, bellissima”, ma erano in realtà delle vere vipere.
Oltre alla limitata possibilità di espressione, Maria Anellini incontrava un’altra grande difficoltà nella brillante vita mondana che il marito le imponeva. Lei aveva, oltre a una discreta miopia, una congenita incapacità di riconoscere le persone e più volte le era capitato di non salutare importanti personaggi con cui erano stati a cena o a una festa o magari aveva ricevuto a casa in occasioni ufficiali.
“Maria – la rimproverava spesso Marco Aurelio – Che figure mi fai fare? Non hai salutato il ragionier Peretti l’altro giorno, per il corso. Lui c’è rimasto male, ha pensato che ti fossi offesa per qualcosa”. O ancora: “Ma come hai fatto a non riconoscere il Dr Nommi? Eppure è il più famoso chirurgo della zona. E lo abbiamo visto almeno tre volte alle cene del Club, è sempre sul giornale. Ma via, sei davvero imbarazzante”.
Lei si sentiva umiliata e ne parlava con l’altra Maria che invece aveva vista d’aquila e memoria d’elefante, specialmente per i volti.
Così, quando uscivano insieme, spesso era l’amica a suggerirle il nome di quelli che incontravano e a evitarle le tanto vituperate figuracce.
Una mattina, era per l’appunto un sabato di aprile del 1971, luminoso e pieno di aspettative, le due Marie passeggiavano per le vie del centro, amabilmente discorrendo delle proprie vite, così diverse e complementari. Come molto spesso facevano, si fermarono al frequentatissimo bar a metà corso per prendere un caffè, la Anellini in Pastacorta ondeggiando in un leggiadro abito giallo oro che le donava moltissimo e ben si abbinava al suo carnato olivastro, sempre leggermente abbronzato. L’altra Maria, più sobria per abiti e meno appariscente di natura, la seguiva, controllando attentamente l’eventuale presenza di soggetti che l’amica dovesse salutare.
Mentre le signore, sedute al tavolo, gustavano deliziosi pasticcini, ecco entrare un uomo molto bello, elegantissimo, con magnetici occhi azzurri.
Improvvisante, la Anellini in Pastacorta si illuminò. “Ecco – disse tra sé – questo lo conosco, l’ho visto nel salotto di casa mia, sicuramente è uno che ha a che fare con la banca. Forse è nel consiglio di amministrazione. Sì, l’ho visto tante volte… Non so chi è, ma di sicuro conosce Marco Aurelio…”.
Senza consigliarsi con l’amica, Maria di giallo vestita si alzò e, mentre la gonna svolazzava e gli orecchini pendenti tintinnavano, si avvicinò al banco dove l’affascinante avventore stava ordinando un caffè e una pasta.
“Buongiorno!” cinguettò rivolta all’uomo dal ceruleo sguardo.
Lui, perplesso ma educato, rispose con un cenno del capo: “Buongiorno, signora”.
La Anellini non stava più nella pelle. Finalmente riconosceva qualcuno per conto suo. Ovvero: riconosceva in parte, dato che non sapeva chi era. Ma l’aveva visto nel suo salotto, per cui… Non c’erano dubbi, doveva proseguire la conversazione.
“Allora, mi dica, come va? E a casa, tutti bene? Siete qui per Pasqua?”.
Il signore distinto la guardò con un mezzo sorriso, senza parlare.
– Perché non risponde? – pensava lei – ora gli chiedo della moglie, tanto sono tutti sposati, si va sul sicuro.
“Allora – sempre più vicina al bell’uomo – la signora sta bene?”.
Lui, finendo di bere il caffè, rispose gentilmente: “Certo, grazie”. Ma non sorrideva più tanto.
Nonostante ciò, Maria continuò: “Tornate a trovarci presto, magari rimanete anche a cena! Sarà un piacere”.
Occhio azzurro la guardava con un’espressione tra il divertito e il preoccupato.
Nel frattempo nel locale si era fatto silenzio e tutti assistevano alla performance della signora Anellini in Pastacorta. La quale, mentre il suo interlocutore se ne andava, non mancò di aggiungere: “Mi saluti la signora e le dica che l’aspetto a Castiglione per le vacanze pasquali”.
Lui accennò un saluto, mentre camerieri e clienti guardavano Maria che, soddisfatta nel suo abito di boutique, tornò a sedersi al tavolo con la sua amica.
“Maria, ma che ti è saltato in mente?” le disse quest’ultima.
“Perché, scusa, Maria, cosa avrei dovuto fare? Io quell’uomo lo conosco, l’ho visto nel mio salotto, è di sicuro un amico di mio marito”.
“No, tesoro. L’hai visto nel tuo salotto, perché quel bel signore dagli occhi azzurri è Ugo Pagliai, l’attore, e l’hai visto nello sceneggiato “Il segno del comando”, ti ricordi, ti è piaciuto tanto, ne abbiamo parlato… È qui in città, perché ha una rappresentazione teatrale nei prossimi giorni”.
La Anellini in Pastacorta sentì svanire tutta l’emozione che l’aveva sostenuta nella sua esibizione, anzi, la sentì trasformarsi da positiva e vivace a tremendamente negativa, tanto più che gli altri clienti ancora la guardavano, alcuni perplessi, altri con ironici sorrisini.
Uscì appoggiandosi all’amica: la gonna gialla non svolazzava più e gli orecchini non tintinnavano. Forse non era una storia da raccontare al signor Pastacorta.
Fulvia Perillo