Nitoris della Sfinge

Ho solo sedici anni, ma la vita mi ha già provato.
Ne avevo appena otto quando mio padre è partito per la campagna di Nubia, al seguito di Ramses II.
Ma, mentre il sovrano è tornato carico di onori e gloria, il mio povero genitore è rimasto ucciso e non abbiamo avuto neppure una tomba per piangerlo.
Siamo rimaste sole, mia madre Tyi, mia sorella Ati, maggiore di me di sei anni, e infine io, la piccola Nitoris, la preferita di papà.
Da allora, ogni sera, all’ora del tramonto, mi sono recata ai piedi della Grande Sfinge. Non so neppure perché abbia preso questa abitudine. Forse perché con mio padre andavamo spesso lì e lui mi raccontava storie di tanti e tanti secoli prima, quando gli dei vivevano insieme agli uomini e la morte era sconosciuta.
Poi era accaduto qualcosa e gli umani erano diventati mortali e gli dei si erano allontanati…
Quei tramonti tristi. Il volto misterioso e indefinito della Sfinge che non mi guardava. Io piccola e sola, nella luce intermedia della sera.
Giorno dopo giorno, anno dopo anno, mi chiedevo se davvero gli dei esistessero e, in tal caso, perché avessero permesso una così grande perdita per la mia famiglia.
Ma i dispiaceri non erano finiti.
Quando avevo undici anni, mia madre, ancora giovane e bellissima, dovette risposarsi. Dico dovette, perché lei era fedele alla memoria del marito, ma una donna di condizioni modeste, e per di più con due figlie femmine, non poteva rimanere indifesa e sola.
Così mio nonno le ha procacciato un nuovo sposo. Niente a che fare con mio padre, però. Lui era un uomo bello, alto, con grandi occhi neri e un sorriso dolce.
Invece Amtes, il mio patrigno, era corpulento e rozzo. La sua condizione economica buona (era un mercante di tessuti e spezie) non controbilanciava la mancanza di educazione e la sgradevolezza dei modi, ma avevamo dovuto adattarci.
L’anno dopo le nozze, mia madre è rimasta incinta.
Non sapevo se essere felice o meno. Mia sorella era furibonda: sosteneva che Amtes, quando fosse nato il bambino, non avrebbe più avuto per noi alcuna considerazione (già ne aveva poca).
Le cose, però, erano andate ancora peggio.
La gravidanza era stata complicata e mia madre era morta e con lei la bambina che portava in grembo.
Dopo questa tragedia, il mio patrigno se l’era presa con noi e ci aveva cacciato di casa, dopo aver provato a violentare mia sorella, però.
Il suo rifiuto l’aveva fatto imbestialire e noi eravamo fuggite a casa dei nonni, ma eravamo infelici e sentivamo tanto la mancanza dei nostri genitori.
Cercavamo di renderci utili, ma era chiaro che i nonni non erano felici di averci a casa, altre due bocche da sfamare: eravamo solo tollerate.
L’unica consolazione in quel periodo era stato un gatto nero bellissimo e con occhi incredibili, che avevo trovato proprio vicino alla Sfinge e che mi seguiva passo passo ovunque andassi.
Continuavo le mie passeggiate serali e il mio gatto, che avevo chiamato Bakt, e insieme osservavamo i colori del tramonto.
Una sera, in cui la malinconia si era fatta particolarmente struggente, mentre ero seduta ai piedi della maestosa Sfinge, mi venne in mente la dea Iside, di cui narrava mio padre, e mentalmente la invocai.
Mentre mi avviavo per tornare a casa, sul sentiero comparve una donna maestosa ed elegante, molto più alta di me e con una luce speciale negli occhi scuri.
Bakt prese a miagolare dolcemente, quasi in modo melodioso, come non aveva mai fatto.
La signora sorrise e prese il gatto tra le braccia.
“Piccola Nitoris – disse – tu mi hai chiamato e io sono qui. Ora ti faccio un dono.
Tu potrai prevedere il futuro e leggerai i sogni delle persone. Questo ti renderà ricca e potente e gli altri avranno rispetto e paura di te. Vai, ora, torna a casa e sperimenta il tuo potere”.
La donna scomparve e io pensai di avere sognato.
Giunta a casa dei nonni, trovai mia sorella particolarmente triste e le chiesi perché. Disse che il nonno voleva farla sposare (aveva diciotto anni, pochi secondo me, tanti per il nonno) e stava cercando un marito per lei.
Visto com’erano andate le cose con mia madre, Ati temeva molto per il suo futuro. Cercai di consolarla e le raccontai dell’incontro con la misteriosa signora.
Allora lei mi raccontò il sogno che aveva fatto la notte precedente.
“Ero vicina alla Grande Sfinge, proprio dove vai tu a vedere il tramonto, e lei, improvvisamente si è animata e ha preso le sembianze del tuo gatto, di Bakt, solo che era molto più grande. Io sono salita sul suo dorso e in un attimo ci siamo trovate a volare in un cielo limpido”.
“Sorella – le dissi – fino a ieri non avrei saputo cosa dire, ma, vedi, credo davvero di aver avuto il dono di interpretare i sogni e so che tu riuscirai a sfuggire a un destino che non vuoi. Sarai molto felice. Dobbiamo affidarci al gatto che ci condurrà dove lui sa che c’è una soluzione”.
Bakt, intanto, si era animato molto e, benché fosse già scesa la sera, prese a correre fuori casa e noi due dietro, finché ci trovammo in un grande giardino.
Ci venne incontro un giovane alto e dai lineamenti fini.
Guardò Ati e lei fece la stessa cosa. Un attimo dopo erano innamorati, pur non sapendo niente uno dell’altra.
In realtà lui era un nobile, figlio di un ricco funzionario del sovrano.
Dopo un mese, i due erano sposati e andarono a vivere nella bella villa della famiglia di lui.
Io rimasi dai nonni, ma ormai avevo capito di saper interpretare i sogni e in breve tempo diventai nota come Nitoris della Sfinge, la ragazza dai poteri magici.
Insieme a Bakt, che non mi abbandonava mai, divenni il riferimento di tutti coloro che volevano conoscere il loro futuro e invocare la dea Iside mio tramite, affinché li aiutasse nel loro cammino.
Sono già trascorsi quattro anni e la mia fama si è estesa così tanto che le persone giungono da tutto il paese e io sono ricca e rispettata e i nonni adesso mi considerano e mi temono anche un po’.
Tutte le sere, però, continuo a recarmi nei pressi della Sfinge che ormai avverto come una presenza amica. Aspetto sempre che la signora torni a trovarmi, ma questo non è ancora accaduto. O forse sì, perché, di tanto in tanto, Bakt cambia espressione e prende a miagolare in modo melodioso, proprio come quella sera in cui incontrammo la dea. Forse vede qualcosa o qualcuno che io non posso vedere, ma di cui avverto la presenza benefica.
Spero che i miei genitori, nell’aldilà, sappiano che stiamo bene e, quando cala il sole, mi volgo alla prima stella, sperando che il mio amore possa in qualche modo raggiungerli ancora.

Fulvia Perillo

Commenti

1 commento a “Nitoris della Sfinge”


  1. Brignone Annamaria ha detto:

    Una bella fiaba di cui abbiamo bisogno in un mondo pragmatico e cinico

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