Il mio nome è Pollyanna, detta Polly.
Sono una barboncina toy bianca, di quelle piccolissime, insomma.
Questo è stato un gran vantaggio per me fin dall’inizio.
A differenza dei miei colleghi di razze più grandi, non faccio paura a nessuno, tutti mi vedono come una specie di giocattolo e si sbagliano alla grande, perché io sono un cane a tutti gli effetti:fedeltà e attenzione ai miei umani sono le parole portanti della mia vita. Così come mi è piaciuto molto rincorrere i gatti, anche se l’ho fatto di rado, dato che sono più grandi e veloci di me.
Il primo ricordo di cui sono certa è la visione di Greta, una bimba bellissima, con lunghi capelli biondi e grandi occhi azzurri.
Tutti le dicevano che sembrava una principessa ed era vero. Allora io non sapevo cos’era una principessa, ma l’ho imparato da lei a cui piaceva tanto leggere le favole.
Anche sua madre Sara era simpatica. Un po’ schizzata, per la verità, sempre di corsa, uno studio di commercialista, due figli (oltre a Greta, un maschietto più grande, Omar), un marito ingegnere sempre nervoso e stanco.
Sandro, questo è il nome del marito, non voleva che mi adottassero.
Pare anche che abbiano litigato per questo.
Ma Greta piangeva, voleva assolutamente che fossi il suo regalo per i dieci anni. Anche Omar era d’accordo: faceva il duro, ma insomma, anche a lui piacevo parecchio.
Così mi hanno portato a casa. Sara ha proposto di chiamarmi Pollyanna. Pare che sia il nome di una bambina che era sempre felice. Non una vera, il personaggio di un libro.
“Questa creatura è sempre allegra” ha detto Sara “La chiameremo Pollyanna”.
Per brevità sono sempre stata Polly, ma io sapevo qual era il mio vero nome. Sono intelligente e Greta se n’è accorta subito.
“Mamma, Polly mi risponde, capisce ciò che le dico!”
In effetti era proprio così, le nostre erano vere e proprie conversazioni.
Ci siamo divertite molto insieme, anche con Omar, ma lui era più grande e con un temperamento meno giocherellone.
Sara mi portava nel cestino della bicicletta, mentre Greta aveva comperato un piccolo trolley aperto e andavamo a spasso così, tra l’ammirazione generale.
Non solo: nella casa accanto ai miei umani, abitavano i genitori di Sara, simpaticissimi. Anche con loro era uno spasso. La nonna Alice, inizialmente diffidente, è poi diventata una mia sostenitrice, anche se qualche volta le ho rubato una fettina di carne letteralmente dalle mani, perché lei era molto piccola e con un salto riuscivo ad afferrare la carne. Però, non si arrabbiava, rideva moltissimo insieme a suo marito Mario. E poi c’era il nonno nonno (come lo chiamava Greta), Gino, il padre di Alice, già ultraottantenne e vedovo, che abitava con la figlia e il genero. Dopo Greta, era lui il mio preferito. Alice diceva che gli avevo ridato la vita. Giocava con me, mi portava fuori a qualsiasi ora. Insomma era un bambino un po’ invecchiato, ma davvero dolce.
Quelli sono stati gli anni d’oro.
Poi le cose hanno cominciato a cambiare. Prima piano piano, poi sempre più rapidamente.
Quando avevo cinque anni, infatti, Sandro è tornato scorbutico come all’inizio. Mi sono accorta che qualcosa non andava, perché sembrava insofferente a tutto, me compresa. Non che fosse mai stato il mio umano di riferimento, ma comunque, qualche volta, mi sorrideva e mi dava i croccantini.
Invece, cambiò completamente atteggiamento.
E poi lui e Sara litigavano, ma non quei piccoli bisticci di prima.
Sembrava proprio che si odiassero.
Non capivo bene cosa accadeva, ma di sicuro nulla di buono.
Sara piangeva spesso e neppure io riuscivo a consolarla adeguatamente leccandole la mano.
Intanto, Greta era cresciuta, era prossima ai sedici anni e anche lei non era più la stessa. Discuteva sempre con la madre, fumava di nascosto, si vedeva con un ragazzo che a me sembrava assurdo.
Omar, invece, era diventato un uomo. Un ragazzo assennato e ragionevole. Peccato che se n’è andato a studiare fuori. L’università, dicevano. Fatto sta che è andato a Milano e non tornava quasi mai.
Sara era sempre più triste e anche i nonni lo erano.
Greta, ormai occupata da altre faccende, mi considerava pochissimo.
L’unico che non era cambiato era il nonno nonno. Lui era rimasto abbastanza bambino per aver ancora voglia di giocare. Sì, il passo era sempre più lento, però stavo molto con lui nel grande soggiorno e tutti i giorni uscivamo a passeggio col guinzaglino rosa e i fiocchini che mi faceva mettere dalla signora che fa la toelette ai cani.
Poi ci sedevamo nel giardino di casa di Greta, insieme, felici e lui mi raccontava di quando era piccolo e aveva un cane bellissimo, da caccia, che si chiamava Chicco e con cui correva nei campi.
Pareva fosse l’unico a non avere preoccupazioni.
Un giorno, dopo tante liti, Sandro se n’è andato di casa e Sara ha pianto moltissimo ed è diventata distratta e fredda.
Greta, poi, la faceva molto arrabbiare: tornava tardi, trascurava gli studi e frequentava amici che a sua madre proprio non piacevano.
Solo ogni tanto, si ricordava della mia esistenza, mi mostrava alle sue amiche e giocava un po’ con me.
Ma erano solo episodi.
Anche Alice e Mario erano diventati tristi: parlavano sempre della “separazione”, ho capito che il fatto che Sandro se ne fosse andato li addolorava molto.
Ma il nonno nonno mi garantiva ogni tipo di attenzione.
Era diventato lui il mio umano, gli altri soffrivano troppo, compresa Greta, sempre agitata e sopra le righe.
Era sempre bellissima, ma non aveva più l’aspetto angelico di quando ci eravamo conosciuti. Si era perfino tinta i capelli di nero, vestiva tutta di nero e si truccava pesantemente.
Sara la brontolava continuamente. Nella grande casa erano rimaste solo loro due e proprio non si capivano.
È trascorso altro tempo. Greta è tornata bionda, ha finalmente finito il liceo e anche lei è andata a studiare fuori.
Siamo rimasti io e Sara, lei sempre un po’ triste, ma almeno non più arrabbiata.
Il nonno nonno era invecchiato ancora, ma continuava ad essere un tesoro.
>La nostra ultima festa è stata per il suo novantaduesimo compleanno.
Oltre a lui e a me, c’erano Sara, Alice e Mario, Greta, tornata per l’occasione e con Omar abbiamo comunicato col computer, via Skype, ha detto Sara.
Il nonno nonno ha spento le candeline ed era molto felice.
Poi abbiamo giocato, in casa, perché era febbraio e faceva freddo e gli ho fatto compagnia sul divano mentre guardava un film di avventura insieme alla figlia e alle nipoti.
Mi faceva piacere vedere che Greta non era più un po’ pazzoide, ma dolce e gentile come ai vecchi tempi.
Mi sentivo davvero felice. Tanto più che Sara, da un po’ di tempo, sembrava meno triste e forse era merito di un suo amico (?) che veniva spesso a trovarla, tale Marco e mi pareva piuttosto affettuoso.
La sera del compleanno del nonno nonno, alla fine, è venuto anche lui. Alice e Mario erano un po’ diffidenti. Invece noi (io, il nonno nonno e Greta) eravamo molto contenti, anche Sara meritava un po’ di felicità. Mi sono addormentata molto soddisfatta quella sera, ai piedi del letto del mio preferito.
Ma la mattina dopo è avvenuto qualcosa che non conoscevo.
Il nonno nonno era immobile in modo diverso dal solito. Non si è svegliato neppure quando gli sono saltata addosso.
Così, non spiegandomi la cosa, sono andata a chiamare Alice.
Abbaiavo così tanto che l’ho costretta a seguirmi e poi…
Poi si è messa a piangere e poi tutti piangevano.
Pareva che il nonno nonno ci avesse lasciati, anche se il corpo era lì.
Tutta la gioia della sera prima se n’è andata. Piangevano tutti e anch’io, pure se nessuno se n’è accorto.
Mi è mancato molto il mio grande e tenero nonnino. È mancato a tutti per la sua dolcezza e bontà.
Sono passati altri anni, altri cinque.
Alice e Mario erano invecchiati. Marco ora viveva con noi e Sara era tornata allegra, di nuovo il mio umano di riferimento.
Greta e Omar si erano laureati e lavoravano a Milano.
Insomma: avevamo ritrovato il nostro equilibrio.
Io non ero più una cucciolina e pensavo spesso al nonno nonno con nostalgia. Non mi ero mai divertita tanto come con lui.
Poi, un giorno, mentre ero fuori con Sara, è accaduta una cosa.
Dall’altra parte della strada ho visto lui, il nonno nonno che mi sorrideva. Che gioia! Sara non mi metteva sempre il guinzaglio, perché ero brava. Quel giorno, per l’appunto, ero libera e, visto il nonno, gli sono corsa incontro attraversando di corsa la strada.
In quel mentre arrivava una macchina…
Ecco: poi non ricordo bene. So di essermi svegliata in modo diverso.
Stavo benissimo, ero col nonno nonno, in braccio a lui.
Abbiamo visto Sara disperarsi piangendo su di me che però non ero più lì, dove lei pensava.
Ora siamo insieme, io e il mio umano preferito, in un luogo di pace, dove sono tante persone e tanti cani, tutti pacifici e sereni.
Ogni tanto diamo un’occhiata a Sara, vorremmo farle capire quanto siamo felici adesso, come è stata bella e giusta la nostra vita, come lo è ancora.
Siamo leggeri e giovani, il nonno nonno ora ha l’aspetto di un ragazzo, è bello essere qui, non so come si chiami questo posto, ma sicuramente è un luogo del cuore.
Fulvia Perillo