Chi parla di ciò che è stato racconta sempre una storia. Teresa Lucente nel volume Il luogo accanto. Identità e Differenza, una Storia di Relazioni, racconta una storia e non insegue soltanto la documentazione di un’associazione, perché non certifica unicamente i trent’anni di Identità e Differenza, associazione culturale nata a Spinea nel 1988 e che continua, da oltre trent’anni, per la cura e la passione delle due fondatrici Adriana Sbrogiò e Marisa Trevisan. Questo volume è anche molto di più delle testimonianze e dei materiali che contiene, è testimonianza di un modo di pensare ed è documento di un pensiero politico. Comincia già dal titolo con il suo accanto che spiazza e decentra. Il luogo accanto non è, infatti, il luogo dello stare presso di sé in un eterno essere autocentrati, incapaci anche di guardare se non per catalogare e classificare ciò che ci è più vicino o lontano o ciò che ci trascende. Il luogo accanto è il luogo della nostra Identità e della nostra stessa Differenza. Il luogo accanto è il luogo dove scoprire i segni della la cura delle relazioni, la loro necessità per una ricerca del senso e della comprensione di tale senso. Il luogo accanto è storiografia diventata sostanzialmente narrazione e non spiegazione fondata sul ricorso a leggi generali. È un lungo racconto volto non tanto alla ricerca del significato univoco e della verifica di concetti, è il luogo dove l’incontro con il pensiero della differenza sessuale, dove l’autorità femminile, dove la pratica politica delle relazioni, dove il simbolico materno, dove persino il posto di Dio possono essere meglio compresi, perché raccontati a partire dal sentire e dal dire degli altri e delle altre, a partire dalle parole dell’esperienza di persone con nome e cognome, dunque in carne e ossa, e che ci vengono restituite nella loro singolarità senza ricorrere a leggi generali o a soggetti sovraindividuali. È un perfetto esempio politico di Story-telling .
Chi per mestiere si occupa di storia sa bene quanto in questo campo abbia pesato e sia stato ingombrante il metodo ipotetico deduttivo con al centro l’analisi che, come quella scientifica, era costruita con le medesime categorie che fungevano da spiegazione sperimentazione e classificazione del documento e indicavano, dagli anni Cinquanta in poi, il solo corretto approccio alla ricerca storica. Non vi era altro modo per fare ricerca scientifica. Dagli anni Settanta, invece, proprio le ricerche di storia delle donne hanno cominciato a chiedere alla storia di conservare memoria di ciò che è accaduto, perché nulla è più fragile dell’azione compiuta e delle parole pronunciate. Spetta allora alla memoria e dunque al racconto della storia conservare e tramandare il significato degli avvenimenti e, come diceva Hannah Arendt, dare a essi permanenza nel mondo, salvare, insomma, l’azione dalla fugacità e dall’oblio, dal potere dissolutore del tempo.
Questo è il lavoro compiuto da Teresa Lucente. Nel libro, reso possibile da trent’anni e passa di sbobinature, trascrizioni pazienti e custodia di manifesti e locandine e persino sintesi di volumi da parte di Adriana Sbrogiò, materiali confluiti poi nella documentazione dell’associazione donata alla biblioteca comunale di Spinea, l’interesse dell’autrice ai temi trattati articola il racconto soggettivamente, ma non arbitrariamente, mantenendo alta l’attenzione alla storicità che è anche un recupero della imparzialità, ma mostrando anche tutta la propria partecipazione verso ciò che narra. Interesse che diventa contagioso, perché l’autrice permette di comprendere gli eventi facendo parlare i protagonisti, facendone risuonare le parole, perché mostra i punti di vista individuali nella propria singolarità e nello stesso tempo li inserisce in un contesto più ampio, nella ricostruzione di un racconto che riesce a mantenere tutta l’oggettività di ciò che è stato. Non era semplice, ma Teresa Lucente vi è riuscita in pieno esercitando il difficile equilibrio della partecipazione e del non essere di parte e facendo vivere i diversi punti di vista attraverso il criterio dell’incessante dialogo, mostrando come i e le partecipanti, provenendo da varie regioni d’Italia, in trent’anni di incontri dell’associazione, abbiano scambiato il proprio sentire e la propria opinione e si siano posti in relazione, che “è sempre ciò dà la misura, il senso del limite, chiude le porte all’onnipotenza, alla distruzione, a quel piccolo ma potente io che ci vuole vuoti e sconfitti”(p.109). Nel volume è inoltre mostrato come ciascuno dei partecipanti abbia esercitato criticamente la propria facoltà di giudizio e guardato in modo libero ai temi che sembrano susseguirsi uno all’altro in base a una consequenzialità necessaria. Scopriamo così, insieme con chi ha partecipato a quelle esperienze, che la libertà è piena di molte cose. È piena di esperienze, di parole, di incontri e di abbandoni, ma, soprattutto è resa piena dal desiderio che si incarna e che ci trascende, desiderio che alcune chiamano Dio e altre/i chiamano Amore, Pace, Relazione, Consapevolezza del divino che è in me.
Un libro che insegna anche a far pace con la nostra vulnerabilità, parola oggi di moda, e che indica, al di là di ogni moda, che la cura delle relazioni è una rivoluzione sempre possibile, perché agisce politicamente, cominciando dalla cura delle nostre azioni e delle scelte che facciamo. In questo modo il nostro essere e il nostro fare risultano autentici: è una questione, appunto, di Identità e Differenza.
Marisa Forcina, Segni e comprensione