L’autrice del volume continua la sua valida opera di studio e di approfondimento di un pensatore dell’età moderna, Herbert di Cherbury, che è spesso ricordato come centrale nel dibattito sulla religione naturale e sulla tolleranza, ma non sempre è dovutamente approfondito attraverso la lettura delle sue opere e degli scritti. Tra le molte tematiche di questo libro policentrico, che segue un volume precedentemente edito presso la stessa casa editrice e di inquadramento più generale, la Bartalucci sottolinea anche la visione più aperta e cordiale della filosofia, dell’etica e della religiosità che si ritrova in Herbert. Questo senso di apertuta si basa in Herbert, il quale visse in un’epoca di notevole intolleranza, anche sulla tesi della profonda connessione di tutte le cose e di tutte le espressioni dell’Universo. Herbert propone un orientamento filosofico che procede verso un’etica comune e verso valori di tolleranza e di rispetto per culture umane antichissime.
Ricordando questo tratto del filosofo, l’autrice dà appropriato risalto al vitalismo di Herbert. Esso riporta alla consapevolezza che l’amore e la vita sono tendenze intime di ogni realtà. Amore e vita non sono estranei anche agli esseri che, nella scala del vivente, sono ancora privi di intelligenza.
Pertanto l’autrice ritiene, attraverso riferimenti filologici e filosofici e sulla scorta di un’attenta lettura della critica, che un’opera dialogica a sfondo filosofico, pedagocico e religioso (il Dialogue) attributo da alcuni interpreti a Herbert, non sia stata effettivamente composta dal filosofo, ma solo a lui impropriamente attribuita. Avvicinandosi alle tesi esposte da Mario Manlio Rossi, che fu fine studioso della cultura filosofica anglosassone e autore di un vasto studio su Herbert, l’autrice ricorda come l’opera sembri un’estremizzazione di quella religione naturale che Herbert propose sempre con grande e sicuramente con maggiore equilibrio. Il filosofo volle esprimere la ricerca di tratti comuni dell’esperienza umana presenti fin dai primordi della civiltà e fin dalle prime esperienze del divino. Infatti, la verità di cui Herbert parla è pur sempre la verità che è data nella sua interezza e perfezione ad ogni uomo. Nessuno spirito eccessivamente polemico e settario può convenire con l’opera di questo pensatore. In tal modo, si devono intendere il suo senso del cosmo, il suo appello all’umanità, il culto degli eroi e la concezione di un universo vivente. Herbert riconferma sempre la sua fiducia in una Provvidenza divina e universale. Il suo senso umano e il suo prevalente ottimismo sull’uomo (comunque sia inteso) gettano una luce diversa sulla salvezza e sulla vita nei cieli. In un’epoca di ripensamento critico e filologico dei testi mistici, delle esperienze religiose, degli antichi oracoli, la figura di Herbert di Cherbury intende evitare uno scetticismo esasperato e un dogmatismo molto discutibile. In tal senso, si colloca anche la lettura di poesie filosofiche di Herbert, nelle quali l’autrice del saggio mette in risalto la bellezza delle immagini, ma anche la suggestività delle idee che sono sottese: “tutta la vita dell’uomo è comunque inserita in un piano spirituale che è sotteso alla realtà intera e di cui l’uomo soltanto diviene consapevole, riconducendo a coscienza quello che per gli altri viventi, pur obbedendo ugualmente a un piano provvidenziale, resta nella pura dimensione dell’istinto” (p. 41).
Francesco De Carolis