La camicia di Baldassarre

Siamo in cinque, di fronte ad un cancello chiuso. Intorno l’incomparabile campagna senese. Dietro quel cancello c’è il convento delle Monache Clarisse Cappuccine, un tempo residenti in Siena, ma da qualche anno “sfrattate” e trasferite tra Staggia e Colle di Val d’Elsa. Un muro di cinta circonda un secolare parco, un orto e gli edifici del convento, raccolti intorno alla bella chiesa.
Mentre premo il pulsante del campanello, ripenso al motivo per cui siamo lì. Alle lunghe peripezie che mi hanno accompagnato in questa avventura. Tutto ha avuto inizio molto tempo fa, quando venni a sapere, per caso, che esisteva una teca-reliquiario con all’interno una “veste di Baldassarre Audiberti”. Ma dove si trovasse quest’interessante oggetto, ancora non lo sapevo. A forza di cercare, ho intuito che l’area in cui era conservato apparteneva alla giurisdizione della Soprintendenza ai Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Siena e quindi, mi sono rivolto là, per sapere il luogo esatto dove veniva custodito.
Gentilmente, mi veniva comunicato che la teca-reliquiario si trovava presso le Monache Clarisse Cappuccine e quindi inviavo una lettera alla Madre Superiora, narrandole delle mie ricerche sull’Audiberti e quindi dell’importanza che rivestiva quella reliquia da loro conservata. Purtroppo, quando mi arrivò la risposta, fu peggio di una doccia gelata: loro erano Monache di Clausura e quindi non mi potevano ricevere, che non insistessi … Figuriamoci se io non insistevo, di fronte a cotanto oggetto, legato alla vita di Baldassarre, a cui ho dedicato ben 12 anni di ricerche per ogni dove. Iniziavo quindi una lunga manovra di accerchiamento delle povere Monache, in modo da poter conoscere che cosa effettivamente contenesse la teca-reliquiario. Intanto, ad un secondo “assalto” alla Soprintendenza, corrispondeva la comunicazione inviatami dalla dottoressa Maria Mangiavacchi, in cui mi si dicevano le misure della teca (h 14,5 – l. 29,2 – p. 21 cm.), l’intestazione ed il contenuto: una camicia di Baldassarre e la copia di certe sue riflessioni. E questo, se possibile accendeva ancor di più la mia curiosità e il bisogno di poter vedere, almeno in foto, quegli oggetti baldassarriani.
Poi, come sempre, ci si sono messe le consuete “coincidenze”. Io conosco un solo sacerdote che fa capo alla Diocesi di Siena. Lo informo del mio desiderio di conoscere il contenuto della teca, conservata dalle Monache di Colle e gli chiedo a chi posso rivolgermi. Con mia sorpresa, mi risponde che lui è amico di quelle Monache e che spesso va a celebrare la Santa Messa al convento. Chiederà lui. Non mi pare vero! Intanto inizia l’attesa. Purtroppo, quando arriva la risposta, ecco un’altra doccia fredda: le Monache non sanno esattamente dove sia la teca-reliquiario, devo chiedere in Soprintendenza, visto che sono stati dei suoi funzionari ad impacchettare gli oggetti schedati, al momento del trasloco. Mi sembra di essere capitato in un “gioco dell’oca”, dove ogni tanto si torna alla partenza…
Arriviamo al passato settembre. Alcuni amici vanno con il parroco di Pieve a Quarto, don Duilio Sgrevi, a Staggia per la Festa della rivista Il Timone. Mi telefonano perché sono rimasti incuriositi nel vedere che c’è anche la consegna del “Premio Viva Maria” a Antonio Socci. Lo so io che esiste un premio dedicato al Viva Maria? Certo che sì! Anzi, visto che sono là, mi salutino l’organizzatore, don Stefano Bimbi, l’amico delle Monache.
Una mezzora dopo mi arriva una seconda telefonata da Staggia: don Stefano ricambia i saluti e mi fa sapere che l’indomani andrà dalle Monache; gli devo rimandare l’indicazione di ciò che cerco nel convento. Ed io eseguo.
Probabilmente qualcosa è cambiato nel Convento, tant’è che dopo pochissimi giorni mi arriva la disponibilità delle Monache a ricercare la teca-reliquiario e infine la notizia che l’hanno ritrovata. Posso andare a Colle, mi verrà mostrata e fatta fotografare. Posso anche portare qualche amico.
Ritorniamo al cancello iniziale; una vocina risponde al citofono e dopo aver saputo chi c’è, la serratura si apre. Percorriamo il vialetto tra i cipressi ed arriviamo alla porta del convento. Ci attende sulla soglia Suor Paola, che con un sorriso sornione ci dice: “Eh, questo Baldassarre … quanta gente che lo cerca …”. Poi ci porta dentro e ci fa visitare la chiesa, la sacrestia e qualche altra stanza. Non credo che si sia accorta di quanto ormai non stiamo più sulla pelle, tanta è la voglia di vedere gli oggetti di Baldassarre, ma comunque anche quello che ci fa vedere è molto interessante e di gran valore, sia artistico che religioso.
Alla fine entriamo in una sala dove sono raccolte tutte le reliquie e le testimonianze della Beata Passitea Crogi, la fondatrice delle Monache Clarisse Cappuccine. Passitea? E chi è? Suor Paola ci spiega e man mano che va avanti, non possiamo fare a meno di rimanere a bocca aperta: Passitea (1564-1615) è stata una eccezionale mistica. Figlia di una Terra che ha dato i natali a Santa Caterina e a San Bernardino, non sfigura affatto accanto ai suoi più illustri concittadini. Infinite le grazie, i miracoli, i fatti prodigiosi a lei attribuiti, fino alle stimmate! Fu aperto un processo di beatificazione, di cui si conservano circa 800 pagine fitte di testimonianze, ma poi tutto si arenò: si dice che fosse stata la paura che Passitea oscurasse la fama della grande Caterina…
Mentre Suor Paola spiega, io guardo in una vetrina il saio, il cilicio ed altri oggetti della Beata, che è stata portata da Siena a Colle, con le sue Monache e riposa accanto alle sue testimonianze. Capisco il perché queste monache conservino oggetti di Baldassarre: lui amava i mistici ed in particolare i francescani; non per niente andava spesso anche a Città di Castello, a pregare sulla tomba di Veronica Giuliani, anche lei una clarissa cappuccina. Di sicuro, il Buon Uomo era devoto anche della Beata Passitea e durante uno dei suoi pellegrinaggi al convento senese, dove lei riposava, le buone monache, con qualche scusa gli hanno fatto lasciare la vecchia camicia per una più nuova e la prima se la sono tenuta per reliquia di colui che già immaginavano, in un prossimo futuro, santo. Come del resto aveva fatto il parroco di Cozzano, con le scarpe scalcagnate ed i pantaloni laceri.
Finalmente veniamo portati nella stanza dove è stato appoggiato il reliquiario-teca. Mentre attendiamo la Madre Superiora, non posso fare a meno di guardare l’oggetto del desiderio… E mentre suor Paola ci narra una singolare storia, di una Madonna con Bambino di origini tedesche, io ascolto controvoglia e intanto sbircio la teca. E’ ricoperta di una carta rossa e beige, con motivi vegetali e sopra in una targhetta c’è scritto: “Qui c’è la camicia del / ven. Baldassare Audiberti / eremita. / E l’Immagine della S. Sindone”. Sì, ho letto bene, la camicia che ha avvolto il Pellegrino di Vercelli, conservata assieme alla copia del telo che avvolse il Salvatore…

Mentre la curiosità sta facendo salire l’impazienza, ecco arrivare su una carrozzella la Madre Suor Caterina, spinta da suor Liliana. Dopo i saluti e le presentazioni, ci viene data l’autorizzazione ad aprire la teca. La portiamo sopra il largo tavolo, al centro della stanza e iniziamo a slacciare la bandella anteriore, mentre il cuore inizia a battere forte e le mani a diventare leggermente sudate. Alziamo lievemente il coperchio, in modo da poter aprire la bandella anteriore. Appare un’altra parete in legno, con quattro archi suddivisi da tre colonnine; dietro si intravede un contenitore in nylon.
A quel punto apriamo il coperchio e tiriamo fuori il contenuto. Per prima cosa c’è un foglio intestato “Copia di Riflessioni scritte di proprio pugno da Baldassarre Audiberti il 26 dicembre 1851”. Si tratta della copia di una lettera inviata dal parroco di Ottavo, don Polvani, ad un suo amico senese, certo Angiolo Ticci. Si capisce che la moglie del Ticci aveva chiesto a Baldassarre qualche notizia sul suo passato, ma Don Polvani comunica che Baldassarre “… Le manda a dire per mezzo mio, che la sua malattia lo ha privato di onni [ogni, n. d. a.] ricordanza delle cose passate, questo è vero segno che Dio vuole che Baldassarre non pensi più che a le cose presenti per prepararsi facilmente a andare a presentarsi al Tribunale della Divina Giustizia per essere judicato secondo la vita che ma menato nel Mondo …”. Non insista, dunque, la signora e permetta a Baldassarre di obbedire alla volontà di Dio.
Quindi apriamo l’involucro. Con devota delicatezza estraiamo la camicia e con grande emozione la spieghiamo, per stenderla sul tavolo.
Mentre andiamo avanti ci “appare” Baldassarre: ora la corta manica che ha avvolto il braccio destro, ora l’altra dove stava il sinistro, e poi il colletto, l’apertura sul davanti ed infine abbiamo l’intera camicia distesa ed aperta. Che emozione! Ci troviamo di fronte un vestito di una persona piccola, magra, con delle braccia fini, come mostrano gli stretti polsini. Come una “sindone”, appare la traccia del vecchio eremita, del suo sudore, della sua pelle, che strusciando per anni sulla stoffa, ha reso liso l’indumento. Vediamo in basso, le tracce di un antico lavoro di cucito, che ha sostituito il margine inferiore – ormai consunto – con un pezzo di stoffa nuovo. Qua e là, tracce di rammendi e cuciture di qualche anima buona, di suora o contadina, che durante il suo errare gli aveva richiuso qualche strappo. Guardiamo bene e notiamo due cifre ricamate in rosso: I.B. Notiamo che sono a rovescio, a significare che stavano sul pezzo di tela con cui fu realizzata la camicia. Probabilmente si trattava di un lenzuolo di lino, parte del corredo in dote di qualche antica fanciulla, che era stato trasformato in una camicia. Per Baldassarre? Oppure per qualcun altro? Non lo sappiamo.
Poi notiamo che sulla parte anteriore sinistra, in basso, manca un bel pezzo di stoffa: è stato tagliato in differenti circostanze, con le forbici. Ci hanno di certo ricavato pezzetti di reliquie per donare ai devoti del Pellegrino penitente.
Guardiamo, osserviamo, accarezziamo, immaginiamo, sogniamo…

Infine scattiamo numerose foto. E’ venuto il momento di ripiegare la camicia di Baldassarre e poi di rimetterla nella sua teca-reliquiario. È a quel punto che la Madre Superiora vi impone sopra le mani aperte ed appaiate, quindi ci invita a recitare una preghiera per una famiglia del luogo, bisognosa dell’intercessione di Baldassarre. Mentre preghiamo per quei nostri fratelli sconosciuti, non possiamo fare a meno di pensare a quel “venerabile” eremita, santo mancato, che devotamente andava a pregare sopra la tomba di un’altra santa mancata, la beata Passitea.
Mentre andiamo via dal convento, ci sentiamo lievi e sereni, come quel poverello che indossava la vecchia camicia.

Santino Gallorini

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