Dopo il romanzo Acqua piena di acqua (Effigi, 2016), Cinzia Della Ciana esordisce in poesia con Passi sui sassi, anche se alla scrittura poetica non è giunta solo ora. Come si vede (si “sente”) dai titoli, il suo è un lavoro estremamente attento ai suoni. Così è per i titoli dei capitoli del romanzo (incentrati sulla parola “acqua”) e delle sezioni delle poesie (Scorticati passi; Stazionati sassi; A spasso; Sorpassi; Sassaie). Per dirla con Roman Jakobson, è centrata la “funzione poetica” nella quale l’attenzione si concentra non tanto (non esclusivamente) sul destinatario o sul contenuto, ma sulla forma stessa del messaggio. Ciò allontana l’autrice dalla linea petrarchesca che ha caratterizzato molta lirica italiana, benché, nata a Montepulciano, Della Ciana viva ad Arezzo, patria di Petrarca. Questa poesia è invece ascrivibile al filone dantesco più petroso, e non a caso Dante compare in questo libro (vedi Ruina); è sì sperimentazione ma lontana dalle neoavanguardie.
Passi sui sassi è un road-poetry, una poesia del viaggio, ma di un viaggio accidentato qual è quello di ogni vita, tanto che nei suoni, talvolta aspri, duri, prodotti da questi versi, e dal loro ritmo incalzante nell’incontro-scontro dei suoni, sentiamo il rumore delle pietre smosse dai piedi che compiono i passi: “Nell’arrembare la scalata / fra lastre di roccia e scaglie di piastre, / le unghie arranchi di calce squamata / e rostri i tuoi piedi dentro la crosta” (Miraggio); “Sconvolte masse di spaccati sassi / calzata fra queste fessure / abbrivido” (Sasso spicco). Di “viaggio iniziatico” parla Adriana Gloria Marigo nella prefazione, un viaggio arduo nel quale, “pagina dopo pagina, affiora con forza petrosa la catarsi resiliente che trova nella parola non consueta, ricercata, colta, arcaica, collocazione alta”, con ricorso a “voci trecentesche, molto sonore”. La stessa prefatrice sottolinea la poesia-manifesto La Route, una sorta di baudelairiano Invitation au voyage, possiamo dire, dove leggiamo: “Canto il cammino, nostro presente. / Meta è il passo sasso non teme, lo compie la mente / pronta risposta la staffa preme”. La poesia si fa stenografia dei luoghi attraversati, delle immagini, secondo il motto oraziano Ut pictura, poësis, “come nella pittura, così nella poesia”. È la cosiddetta “poesia ecfrastica” che si è cimentata fin dall’omerica descrizione dello scudo di Achille nel rendere “visibile con le parole”. L’immagine si fa poesia non solo attraverso il significato delle parole, ma più sostanzialmente attraverso la stessa materia sonora del significante. Anzi, sembra che le immagini suggeriscano la sonorità che deve pronunciarle: “Ho visto l’oro del bosco di sera / grigiare l’autunno del monte / vesti e fasti dell’antica sua capitale. / (…) / Mentre dall’alta piazza / palizzata di palazzi / la torre a scarpa fa eco di ore, giù nella peschiera trote a guizzi / pizzicano le acque della sorgente / che sbocca e trabocca latte di monte. // T’ho scoperta / aperta terrazza / carezza vuota”. Qui, e altrove, è come se dalle parole, dalla loro sostanza fonica, si volesse trarre tutto il possibile. Questo viaggio nella parola tiene insieme presente e futuro, nonché il passato, raccordando la vita stessa, che tra passato e futuro si tende, rendendola eterno presente. Passi sui sassi, la poesia eponima, che chiude anche la raccolta, si conclude, rilanciando il viaggio: “E tu riparti col ricordo del futuro / nel seminare passi sui sassi / eterni il presente”.
Enzo Rega