Recensione di Roberto Celada Ballanti, ordinario di Filosofia Della Religione e Filosofia Del Dialogo Interreligioso dell’Università Degli Studi di Genova, sulla rivista “Mistica e Filosofia”, I, 2, 2019, Le Lettere, Firenze, pp.153-156.
Il nuovo lavoro di Gabriella Bartalucci dedicato a Herbert di Cherbury, che segue ad altri suoi densi studi precedenti sullo stesso autore – ricordo La Religione della Mente. Paganesimo e tradizione ermetica nel pensiero religioso di Lord Edward Herbert di Cherbury, Edizioni Effigi, Arcidosso (Gr) 2011; Lord Herbert di Cherbury. Alchimisti Dialoghi e misteri. Gli oscuri risvolti di A Dialogue between a Tutor and his Pupil, Edizioni Effigi, Arcidosso (Gr) 2013, nonché l’edizione critica della Religione del Laico di Herbert di Cherbury, Morcelliana, Brescia 2017 -, costituisce un ulteriore prezioso apporto alla ricostruzione storiografica e filologica di un pensatore da sempre incompreso, deformato nel suo pensiero, senza patria in quanto fuori da tutte le Chiese in un’epoca di furiosi scontri confessionali, ma neppure catturabile nella linea ateistica segnata da una critica radicale della religione. Fautore, in realtà, di una difficilmente classificabile terza via nel dominio religioso che fa di Herbert, come già Wilhelm Dilthey aveva acutamente colto, esponente di quella linea speculativo-teologica «trascendentale o spiritualista» che, dal Cinquecento in poi, muovendo dal teismo rinascimentale e dalla mistica, ha dichiarato l’universalità della rivelazione e il primato della coscienza e del lumen Dei in essa inscritto sul dogma e sulle istituzioni. Herbert, in questo senso, scrive Wilhelm Dilthey, è colui che «primo tra tutti nell’Europa cristiana pose le basi dell’autonomia della coscienza religiosa mediante l’analisi della capacità conoscitiva in materia di religione» (L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura. Dal Rinascimento al secolo XVIII, tr. it. di G. Sanna, La Nuova Italia, Firenze 1974, vol. II, pp. 3-4).
Ora, come tutti i lavori di Gabriella Bartalucci mettono in luce con acribia filologica e storiografica, la terza via di Herbert, che nel Religio Laici del 1645 emerge in tutta la sua pienezza, trae ispirazione e linfa innanzitutto dall’ermetismo rinascimentale rinato all’interno dell’Accademia fiorentina, che aveva scardinato, o iniziato a scardinare, l’idea della unicità ed esclusività della Rivelazione cristiana, allargandone i confini all’indietro, in una concatenazione che affondava le radici fino a comprendere la cultura pagana e le più antiche rivelazioni. «Herbert – si legge sin dalle prima pagine del volume – supera di fatto all’indietro il cristianesimo dell’epoca in nome di una antichissima ma sempiterna e universale religione della coscienza, recuperando e proponendo in ambito religioso, attraverso l’elaborazione della “prisca theologia”, contro le Chiese e le religioni istituzionali dell’Europa, e in particolare dell’Inghilterra puritana e presbiteriana di quel periodo, i temi della libertà e della dignità dell’uomo nel suo legame con il divino ereditati dalla cultura umanistico-rinascimentale. Svolgeva quindi in senso universalistico le conquiste filosofiche di un “cristianesimo ermetico” che aveva trovato sviluppo in pensatori come Cusano, Ficino, Pico della Mirandola, C. Agrippa di Nettesheim […]» (pp. 11-12).
In luogo di un cristianesimo razionale e universale, così comprensivo da unire tutte le fedi, ora, in Herbert, si pone il cantus firmus delle cinque nozioni comuni, ma la tradizione è la stessa, pur radicalizzata, a un secolo e mezzo circa di distanza, dei Cusano, dei Ficino e dei Pico: «Su queste basi – conferma la Bartalucci in un suo libro precedente – torna il tema di una concordia tra le varie religioni, di una realtà unica aldilà delle forme particolari che assume; una sola è la religione nella varietà dei riti, avevano detto Cusano e Ficino, ed Herbert ritiene come loro, aldilà dei nomi, di dover cogliere l’essenza comune, allo stesso modo nel quale, al di là dell’apparenza, nella natura c’è un’unica vita divina» (La religione della Mente, cit., p. 44).
Ce n’è abbastanza per inscrivere Herbert entro la grande coordinata di pensiero che, in sintonia con le suddette analisi diltheyane, altrove ho qualificato come religioso-liberale: la quale trae origine proprio dal teismo universalistico e dallo spiritualismo degli umanisti che – collegandosi al platonismo, alla Stoa, alla mistica medievale, e incrociandosi con la Riforma – vive nella «philosophia Christi» di Erasmo, per giungere, come un fiume carsico, dopo la condanna degli scritti erasmiani, ai sociniani, agli arminiani, fino ai deisti, penetrando nel mondo tedesco riformato mediante mistici quali, in particolare, Hans Denck e Sebastian Franck, colui che, scrive Dilthey, conciliando il lumen naturale di Platone, Cicerone, Seneca, con il «Cristo invisibile in noi», prepara la filosofia della religione di Kant e Schleiermacher.
Si tratta di una precisa linea del pensiero moderno, cui Herbert reca l’ apporto decisivo sul tema di una religiosità universale che attiene al laico, ossia all’uomo, a ogni uomo che viene in questo mondo, il cui principio essenziale può essere raccolto nell’idea che la religione, prima che vivere in Chiese, cerimonie, Scritture, vive in interiore homine, nel nodo trascendentale che lega la coscienza umana alla Trascendenza. Così, il rivelarsi della verità non è identificabile in una ecclesia visibilis, garante di un evento salvifico, né in un testo sacro, ma appare attingibile in libertate spiritus, nella rivelazione che, in forza di un lumen Dei, perennemente si compie nella coscienza.
Né a Delfi né sul monte Garizim né a Gerusalemme è dato udire la voce di Dio, ma nella coscienza di ogni uomo che venga in questo mondo.
Ma il nuovo studio di Gabriella Bartalucci non solo ha il merito di inscrivere Herbert in questa linea e dunque di arricchire con un contributo decisivo gli studi, a mio avviso quanto mai essenziali, sulla tradizione religioso-liberale moderna. Ambisce insieme ad un’altra operazione, che integra quelle già svolte nei lavori precedenti, evidenziando e approfondendo ora la volontà di Herbert di proporre, con il trattato Religio Laici e con l‘Appendix ad Sacerdotes de Religione Laici (1645) istanze, seppur ideali, di riforma politico-religiosa nell’Inghilterra della rivoluzione puritana. e di denunciare, al tempo stesso, l’utilizzo strumentale della religione per giustificare la violenza politica. Il tema cruciale del libro si traduce quindi in un’analisi serratissima, oltre che del complessivo contesto storico coevo – che è quello della guerra civile inglese (1642-1648), del suo epilogo con la vittoria dei puritani di Cromwell, con l’uccisione del re Carlo I Stuart, del successivo ritorno degli Stuart, e le lotte tra Carlo II e il Parlamento, che condussero alla Glorious Revolution del 1688 -, delle relazioni, ambigue ed enigmatiche, radicate in riposti moventi politici, che legano al Religio Laici di Herbert altre tre opere, che recano, nell’arco del successivo quarantennio, lo stesso titolo. Si tratta anzitutto di un manoscritto anonimo, dalla data di composizione ignota, mai pubblicato, rinvenuto tra le carte di Herbert dai suoi discendenti centinaia di anni dopo la sua morte e attribuito a lui. Di questo manoscritto, pubblicato solo nel 1933, viene nel testo, in seguito a una serrata e complessa analisi, smontata l’appartenenza a Herbert. Secondariamente, del poema di John Dryden, poeta, drammaturgo, prosatore e traduttore inglese (1631-1700), Religio Laici or a Layman’s Faith, del 1682, scritto per contrastare l’impiego della religione a fini di violenza politica, e che, dei tre testi omonimi, appare certo il più affine all’ispirazione herbertiana. Infine, del testo del deista Charles Blount Religio Laici written in a Letter to John Dryden del 1683.
Il deista Blount nel suo Religio Laici, che altro non è che il manoscritto anonimo arbitrariamente attribuito a Herbert di Cherbury, nelle aggiunte apportatevi si difende soprattutto dalle accuse di Dryden, nel nome di un violento anticattolicesimo, di un assoluto relativismo morale, di un materialismo che inserisce nel testo riattingendolo dall’opera Anima Mundi, di cui nel lavoro di Gabriella Bartalucci si evidenzia per la prima volta l’utilizzo strumentale e materialistico di parti di De la causa, principio et uno di Giordano Bruno, oltre che di temi spinoziani. Charles Blount, colluso con il puritanesimo regicida, come fa capire Dryden, e come si rileva dal suo testo stesso Religio Laici di replica a Dryden, segna in realtà la fine dell’universalismo di Herbert .
Dalle analisi assai fini e complesse del libro, dal loro intersecato rimandare l’una all’altra, emerge quanto sotto il sintagma di Religio Laici si siano spacciate e confuse posizioni filosofico-religiose diversissime, che hanno finito per oscurare, tra violento deismo e anticlericalismo, la serena e pacata posizione herbertiana, figlia della tradizione erasmiana e rinascimentale. Emerge comunque dai nomi di personaggi minori presenti nel libro che nella cultura inglese del ‘600 è esistito un preciso filone che si richiamava alla mistica, ad Erasmo, a Ficino, a Plotino prendendo le distanze dalle Chiese ufficiali e dai loro dogmi, e una posizione, quella di Herbert, che nel riferirsi a una terza via laica e liberale nel dominio del religioso mostra una sconcertante attualità nel tempo religiosamente inquieto e confuso che ci è toccato in sorte.
Roberto Celada Ballanti